'Così fu demolito il ponte': parla l'esplosivista che progettò l'abbattimento

Il progetto finale prevedeva 4 fasi: il taglio degli stralli, la caduta di acqua per mitigare le polveri, l'abbattimento vero e proprio e l'innalzamento di acqua da terra. L'esplosivista che ideò il progetto, Danilo Coppe, spiega come venne abbattuto il Morandi

'Così fu demolito il ponte': parla l'esplosivista che progettò l'abbattimento

Il ponte Morandi non esiste più. Lo scorso 18 luglio, alle ore 9.37, è stata abbattuta anche la parte rimasta in piedi dopo il crollo del 14 agosto 2018, quando 43 vite si sbriciolarono insieme al viadotto.

Il progetto per la sua demolizione era già stato sviluppato nel 2003, da Danilo Coppe, geominerario esplosivista, che ha raccontato (su Noi vigili del fuoco) tutte le fasi del piano ideato per abbattere il ponte Morandi. L'ipotesi che potesse esserci dell'amianto nella struttura aveva portato a riprogettare alcune fasi dell'abbattimento, con piani di mitigazioni delle polveri. Il tutto venne predisposto, nonostante la presenza di amianto fosse ritenuta "sotto la soglia di rilevabilità strumentale".

Il progetto in sè non presentava particolari criticità: "gli impalcati erano evidentemente sostenuti da pilastri e quindi annullando gli stessi si sarebbe ottenuto il collasso dell’intera struttura".

La mitigazione delle polveri

Per controllare le polveri che si sarebbero alzate con l'abbattimento erano già state previste delle vasche d'acqua da posizionare sopra la struttura. Inoltre, a qualcuno venne l'idea di posizionare anche delle piscinette a terra: così, "dal 10 al 18 giugno sono state realizzate le prove di sollevamento acqua e, dopo qualche perfezionamento, ritenute le stesse soddisfacenti". Le prove sono state effettuate, oltre che con le piscinette, anche con fusti da 200 litri e con una sorta di trincea piena d'acqua. Alla fine si decise di usare le trincee, lunghe 250 metri, con un metro d'acqua.

Gli stralli

Per gli stralli, invece, venne ideato un sistema diverso, che ne prevedeva il taglio netto. Infatti, dopo un sopralluogo, "si prese atto che gli stralli erano stati ancorati a una fondazione a ridosso di quella del viadotto della A7, l’altra autostrada di Genova Nord. In fase di caduta della Campata 11, sarebbe stato possibile e probabile un dissesto del terreno, con possibile compromissione dell’integrità dell’A7 stessa". Per farlo, si è dovuto ricorrere alle cariche cave: impossibile, infatti, usare gli esplosivi tradizionali, a causa del numero e della grandezza degli stralli. Così, Coppe ha pensato di rivolgersi ai reparti speciali dello Stato, con cui collabora da anni: l'opera di "sabotaggio" è stata affidata al Nono Reggimento Col. Moschin.

Il progetto

Il progetto finale, prevedeva quattro fasi. La prima era rivolta solamente alla Campata 11 e consisteva nel tagli degli stralli, mediante cariche cave, forntire dal Nono Reggimento Col. Moschin dell'Esercito italiano. "La fase 2, comune sia alla Pila 10 che alla 11, ha previsto invece l’elevazione di un muro d’acqua in quota": questa avrebbe dovuto iniziare a cadere, prima dell'avvio della fase 3, che consisteva nell'abbattimento delle strutture portanti, usando cariche esplosive tradizionali, "ossia candelotti di dinamite di diversi diametri, inseriti in fori praticati prima nel cemento armato". Durante la fase tre avrebbe dovuto partire quella successiva, con "l’innalzamento di muri d’acqua, alti anch’essi circa 30 metri, ai lati di entrambe le campate".

In sei secondi, il ponte simbolo di

Genova sarebbe dovuto cadere, aiutato da 400 inneschi, 500 chili di dinaminte, 30 chili di cariche cave 5mila metri di miccia per la detonazione. E così è stato: l'operazione si è svolta esattamente come era stata progettata.

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