Politica

Il divorzio e la disperazione

Il divorzio e la disperazione

Un mese dopo l'altro Giuseppe Conte sta diventando l'uomo simbolo di quanto sia ormai diventata fluida la politica di casa nostra. Dopo essere passato in sole quattro settimane da premier dell'alleanza M5s-Lega a premier dell'inattesa coppia M5s-Pd, ieri l'autoproclamato «avvocato del popolo» ha sostanzialmente divorziato da quel Movimento che un anno e mezzo fa lo aveva inaspettatamente catapultato sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi. E si è, di fatto, riposizionato sul Pd. Una giravolta stellare. Al punto che se soltanto qualcuno l'avesse ipotizzata ancora quattro mesi fa, sarebbe stato sommerso da una fragorosa risata.

Una rottura, quella tra Conte e il M5s, che ieri è andata in scena su un palcoscenico di tutto rispetto come le aule di Camera e Senato. E che è certificata non solo dalle parole del presidente del Consiglio, ma anche dall'immagine plastica che la seduta di Montecitorio ha fatto rimbalzare su tv e social. Conte, infatti, parla per circa un'ora. E, mentre alla sua destra il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri annuisce ripetutamente quasi ad ogni passaggio dell'intervento, alla sua sinistra il titolare degli Esteri Luigi Di Maio è una maschera di cera. D'altra parte, l'affondo a Matteo Salvini che «non poteva non sapere» della trattativa sul Mes il Meccanismo europeo di stabilità - è un «parlare a suocera perché nuora intenda». Conte, infatti, elenca Consigli dei ministri, dibattiti parlamentari, audizioni del precedente governo (non solo Giovanni Tria, ma anche Paolo Savona) e riunioni a Palazzo Chigi in cui la riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati è stata ripetutamente trattata. E se Salvini non poteva non esserne a conoscenza, il sottinteso è che anche Di Maio non può fingere di non sapere. Tutti e due, infatti, erano vicepremier di quello che insieme avevano ribattezzato il «governo del cambiamento».

D'altra parte, che i due stiano ormai prendendo strade diverse è chiaro da tempo. Certo, pubblicamente Conte preferisce non aprire un fronte che sarebbe delicato e dice che sul Mes Di Maio ha solo «espresso delle criticità comprensibili». Ma nel dietro le quinte, non è un segreto, la dinamica è ben più complessa e ostile. I due, ormai, mal si sopportano e di rado si sentono al telefono. E ieri il premier in privato faceva riflessioni piuttosto eloquenti. «Se Luigi vuole aprire la crisi - è il senso dei ragionamenti di Conte - allora è arrivato il momento di dirlo chiaro e assumersene anche la responsabilità». Una distanza siderale, al punto che il ministro degli Esteri ha deciso di disertare l'informativa al Senato dopo che in quella alla Camera era stato - seppure indirettamente - messo sul banco degli imputati. Il leader del M5s, peraltro, non ha mancato di cogliere con una certa preoccupazione il fatto che Conte, durante l'intervento a Montecitorio, avesse raccolto gli applausi dei ministri grillini Alfonso Bonafede e Federico D'Incà. Un gesto che Di Maio ha considerato un «atto ostile» verso di lui. D'altra parte, che il Movimento sia in guerra con il suo leader in cui non si riconosce più non è certo un mistero, come conferma l'impasse che va avanti da mesi per la nomina del nuovo capogruppo grillino alla Camera.

Di tutto questo Conte è ben conscio. Ma per il presidente del Consiglio - che sul Mes si è impegnato in prima persona con Bruxelles - non esiste altra strada praticabile se non quella di rivendicare la bontà di quanto ha fatto fino ad oggi. Anche perché il premier sa bene che il Pd sul punto può ammorbidirsi solo formalmente, ma non certo accettare una conversione a «U». A Palazzo Chigi, dunque, si respira un'aria preoccupata. Conte, infatti, inizia a temere che davvero Di Maio possa arrivare alla crisi pur di provare a «salvare» la sua leadership all'interno del M5s. L'unica speranza alla quale sembravano aggrapparsi a tarda sera nell'entourage del premier è l'ipotesi di un rinvio dell'approvazione finale del Mes, ritardo che potrebbe fare comodo anche alla Germania per ragioni di politica interna.

Uno scenario possibile ma improbabile. E comunque sullo sfondo resterebbe una rottura tra Conte e Di Maio che in queste ore pare difficilmente recuperabile. Non è un caso che la Lega stia facendo un poderoso pressing sull'ex alleato. Salvini nel suo intervento al Senato si è rivolto più volte agli «amici M5s» invitando Di Maio a presentare in Parlamento un documento contro il Mes. E pure Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, ha ripetutamente chiamato in causa il leader grillino. In aula a Montecitorio, invitandolo ad abbandonare la seduta mentre Conte parlava («alzati e vattene!», ha urlato) e più tardi commentando la sua assenza in Senato («è una minima fonte di speranza, la capacità di sopportazione prima o poi arriva al limite»).

Chissà, in questa politica liquida, che non sia l'ennesimo sintomo di un possibile - e imprevedibile - riavvicinamento.

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