Coronavirus

Le dosi, l'efficacia, l'immunità: luci e ombre sui tre vaccini anti Covid

Nonostante i proclami trionfalistici delle aziende produttrici di vaccini, mancano ancora le approvazioni da parte delle autorità competenti affinché vengano messi in commercio. Tra corse ed intoppi, siamo a buon punto ma non è ancora finita...

Le dosi, l'efficacia, l'immunità: luci e ombre sui tre vaccini anti Covid

Ogni giorno che passa acquisiamo sempre maggiori informazioni sui vaccini in "gara" per essere approvati dalle autorità competenti ed iniziare ad essere disponibili a cominciare dagli operatori sanitari e dalle categorie a rischio. Ad inizio 2021, forse, vedremo la tanto sperata luce in fondo al tunnel anche se la strada è ancora molto lunga e complessa.

Dosi

Cominciamo con la prima azienda che ha gridato al mondo di avere un vaccino in fase 3 con un'efficacia del 95%: stiamo parlando della Pfizer-Biontech. L’italia ha già prenotato circa 27,2 milioni di dosi tra quelle riservate all'Unione Europea, in pratica potranno essere vaccinati poco meno di 14 milioni di italiani perché è necessaria una doppia inoculazione, la seconda a distanza di 21 giorni dalla prima. Questo numero copre soltanto la popolazione più esposta come operatori sanitari, forze dell'ordine ed anziani. In teoria, la doppia dose serve per stimolare la produzione di una prima risposta immunitaria dopo la prima somministrazione. In ogni caso, per averla sul mercato, è necessaria l'approvazione dalle agenzie regolatorie (la Fda negli Usa e l’Ema in Europa).

Moderna. Il candidato vaccino dell'azienda Usa Moderna, appena approvato negli Stati Uniti dalla Fda (non ancora dall'Ema), ha dimostrato un'efficacia pari al 94,1% contro Covid-19 che arriva addirittura al 100% nei casi più gravi secondo le ultime analisi dell'azienda americana dai dati dello studio giunto in fase 3. L'azienda prevede di avere la disponibilità di circa 20 milioni di dosi per gli Stati Uniti e produrne fino ad un miliardo di dosi, globalmente, nel 2021. Anche con Moderna, l'Ue ha stipulato un contratto che prevede un acquisto iniziale di 80 milioni di dosi per tutti gli Stati membri dell'Ue con l'opzione per richiederne altre 80 milioni che saranno fornite non appena saranno dimostrate sicurezza ed efficacia. Anche in questo caso, è necessaria una doppia dose (la seconda dopo quattro settimane).

"Questi sono vaccini innovativi, di una semplicità enorme perché l'Rna messaggero e l'acido nucleico che va ai ribosomi innesca la sintesi delle proteine, quindi è la via più breve per arrivare a produrre soltanto la proteina virale ed ottenere una risposta immunitaria nei confronti di qusta proteina", ha detto a ilgiornale.it, in esclusiva, il Prof. Massimo Clementi, Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Ospedale San Raffaele di Milano. "Non solo si tratta di una tecnologia totalmente nuova in medicina ma anche veramente semplicissima e di una applicabilità enorme: se questo vaccino dovesse andare bene, anche molti altri vaccini nel campo delle malattie infettive e non solo, saranno preparati con questa tecnica".

Tanti dubbi. Ma ci sono dei 'ma', dei nodi da sciogliere come la conservazione a temperature basse che crea il problema di stoccaggio e logistica. Inoltre, questa corsa ha cambiato la sperimentazione, molto più veloce rispetto ai vaccini "classici", formulati con proteine ricombinanti o virus inattivati. Inoltre, le fasi dei test clinici sono state accorpate: la fase 2 è stata unita alla 1 o alla 3 e questo ha permesso di risparmiare altro tempo ma la fretta è cattiva consigliera, prova ne è quello che è successo al vaccino di Oxford-Pomezia.

AstraZeneca. L'altra concorrente in gara per un vaccino efficace è l'azienda italiana con sede a Pomezia AstraZeneca che, però, ha subìto un intoppo nel processo di fase 3. Nei giorni scorsi l'amministratore delegato Pascal Soriot, ha spiegato che servono "studi supplementari" perché nei primi risultati su circa 40 mila volontari è emersa un’efficacia di circa il 70% ma che, un gruppo più piccolo di volontari, ha ricevuto per errore una prima dose dimezzata. Il nodo da sciogliere riguarda il fatto che l’esito migliore (con efficacia al 90%) riguarda la somministrazione di mezza dose seguita da una dose intera, mentre con la classica doppia dose l’efficacia si riduce al 62%. Ecco perché sarà importante ripetere i test di fase 3.

"Per AstraZeneca aspettiamo: se ne parla bene, non è un vaccino molto costoso, probabilmente ha una buona efficacia sui soggetti anziani da quanto emerge dai dati preliminari ma bisogna ripetere, sostanzialmente, la fase 3", ci ha detto il Prof. Clementi. "C'è stato un errore di dosaggio nella prima somministrzione che paradossalmente, essendo un dosaggio minore, ha dato un risultato migliore rispetto a quello pieno, 90% contro 60%. Questo sembra un paradosso che va spiegato e va visto al dettaglio, per questo penso che al momento le autorità regolatorie non daranno il via libera a questo vaccino finché questa fase non sarà chiarita".

Nonostante questo intoppo, nelle ultime ore il presidente di Irbm Pomezia Piero di Lorenzo ha dichiarato che "in questa settimana AstraZeneca consegnerà tutto alle agenzie regolatorie per l'approvazione. A quel punto le agenzie regolatorie, con il rigore dovuto e con tutta la possibilità di controllare tutte le carte, potranno decidere se validare o meno il vaccino". Sul presunto errore nei dosaggi, Di Lorenzo spiega: "Non è un errore, è un caso fortuito che nella ricerca è quasi una prassi. Mezza dose va a stimolare la reazione immunitaria più lentamente e poi con la dose di richiamo si ottiene l'effetto sperato in misura maggiore. Le agenzie regolatorie erano state avvertite che si stava portando avanti anche questo esperimento".

Perché due dosi? Come abbiamo visto, la cosa che accomuna tutti e tre i vaccini presi in esame riguarda il doppio dosaggio (o la doppia infusione) necessaria a proteggerci dal Coronavirus. Come mai? In passato non era praticamente mai accaduto. "Nella prima dose si stimola una prima immunità che poi viene esaltata dalla seconda dose come risposta secondaria che è sempre più elevata per ottenere un'azione protettrice migliore dopo 15 o 21 giorni", ci ha spiegato Clementi.

dose

Efficacia

Cosa significa la parola efficacia quando si parla di vaccini? In realtà esistono diversi tipi di efficacia: quella che misura la capacità di prevenire del tutto l'infezione (la più difficile da raggiungere); quella che misura la capacità di prevenire la malattia con i suoi sintomi (ma non necessariamente il contagio) e quella che misura la capacità di prevenire le forme gravi di infezione e i ricoveri ospedalieri. Come riportato da Focus, la maggior parte delle sperimentazioni in fase avanzata misura l'efficacia nel prevenire la malattia come obiettivo primario mentre gli altri due parametri sono dei traguardi secondari. Successivamente, bisogna capire quanto duri la protezione offerta e per quali soggetti valga l'efficacia stimata.

Un vaccino in grado di prevenire un'infezione non necessariamente potrebbe impedire anche i contagi (è per questo che bisognerà continuare ad indossare la mascherina). Inoltre, con un vaccino efficace al 50%, anche se si immunizzassero tutti gli abitanti della Terra, rimarrebbero abbastanza individui suscettibili da permettere al Sars-Cov-2 di continuare a circolare. Invece, con un vaccino efficace al 90%, immunizzando anche 'soltanto' il 60-70% della popolazione mondiale si potrebbe fermare del tutto la trasmissione del virus. Per fare un paragone, il vaccino per l'influenza ha un'efficacia massima stimata del 70% (addirittura meno nel caso degli anziani): ecco perché c'è stato un grande stupore quando Pfizer e Moderna hanno annunciato che la loro efficacia è superiore al 90%.

"Efficacia del 94% vuol dire che quella porzione della popolazione vaccinata, ad esempio 100 persone, 94 risultano protette perché hanno sviluppato una risposta anticorpale e se venissero a contatto con l'agente infettante sono immuni. L'attesa era attorno al 70%, si è superata moltissimo la base che ci si era data come obiettivo", ha affermato il virologo Clementi.

Protezione

Quanto durerà la protezione offerta dai vaccini anti-Covid? Al momento nessuno può dirlo perché non si sa, nessun test può prevederne la durata. Si saprà soltanto quando verranno seguiti, per diversi mesi, dei gruppi-campione di gente che avranno ricevuto il vaccino. Un'altra domanda a rimanere senza risposta è se i vaccinati, anche se non sviluppano i sintomi, potranno essere contagiosi o meno. "Protezione? Questo non lo possiamo dire perché non sappiamo nemmeno quanto dura l'immunità che si ha dopo l'infezione naturale. Non possiamo sapere se si rimane immunizzati per uno, due o tre anni e ancor meno per quel che riguarda i vaccini. È un'infezione nuova che conosciamo da poco. Sia Moderna che Pfizer dicono che l'immunità durerà almeno un anno", ha affermato il Prof. Però, per averne la certezza, dal momento in cui la popolazione comincerà la vaccinazione sarà necessario tenere sotto controllo gli anticorpi tramite dei test. "Dovrebbero essere previsti perché quando ci saranno i piani di vaccinazione, dovremo sapere se tutti i vaccinati o un campione dovranno fare una verifica degli anticorpi, sapere se li sviluppano e di che tipo dopo la vaccinazione".

"Immunità dopo 14-21 giorni"

Una cosa che ancora non dice nessuno, e non è sottintesa, è che quando riceveremo la benedetta vaccinazione anti-Covid, nel momento successivo all'iniziezione non sarà un "liberi tutti": come funziona per tutti i vaccini del mondo, anche quello contro il Coronavirus ha bisogno di almeno 14 giorni affinché l'organismo produca gli anticorpi e si possa diventare immuni. Paradossalmente, se non si presterà la massima attenzione, il rischio di contrarre il virus a pochi giorni dalla vaccinazione sarà lo stesso di adesso. "È vero, la risposta successiva alla seconda dose e più rapida ma dopo la prima dose, prima di 14/21 giorni non c'è immunità: c'è una finestra, comunque breve, ma di cui va tenuto conto, in cui il soggetto anche se vaccinato non è protetto", ha specificato il virologo. "Infatti, la vaccinazione antinfluenzale si tende a farla un po' prima del picco dell'epidemia di influenza per dare modo al sistema immunitario di produrre gli anticorpi. Fintanto che non sono passate 2-3 settimane, è come se la vaccinazione non si fosse fatta".

E l'immunità di gregge?

Per questo obiettivo i tempi saranno, oggettivamente, lunghissimi: affiché il virus scompaia del tutto dalla circolazione serve una copertura vaccinale compresa tra il 70 e l'85% della popolazione mondiale e con due dosi di vaccino a testa. Come riporta il Corriere, in Italia si parla di 40-45 milioni di persone.

La sfida è enorme, come una scalata sull'Everest, perché gli sforzi organizzativi-logistici saranno qualcosa di mai sperimentato in precedenza: gli esperti ipotizzano, quindi, che per arrivare ad una concreta immunità di gregge, almeno nel mondo occidentale, bisognerà aspettare il 2022.

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