
Egregio Dott. Feltri,
sono un assiduo e appassionato lettore dei Suoi intelligenti articoli e proprio per questo motivo ritengo opportuno sottoporLe alcune considerazioni in merito a recenti decisioni giudiziarie che reputo, a dir poco, sconcertanti.
Finora non ho mai capito se fossero peggiori le illusioni della gioventù o le delusioni della maturità. Ultimamente, però, tendo a privilegiare la seconda ipotesi, soprattutto alla luce della mia esperienza di avvocato, che mi ha permesso di constatare quanto le Istituzioni inclusa quella giudiziaria siano spesso imperfette e fallibili.
Per rendersene conto, basta esaminare alcune sentenze che appaiono non solo scandalose, ma perfino pericolose.
Ad esempio, il Tribunale di Brescia ha assolto un cittadino senegalese che aveva picchiato la moglie, sostenendo che mancasse il requisito dell'abitualità nel comportamento violento dell'imputato.
Ancora più incredibile è il caso di un giudice di Ancona che si è opposto all'espulsione di un cittadino camerunense. Quest'ultimo, pur avendo registrato un video osceno in cui deride lo Stato e le Forze dell'Ordine, insulta la Premier Meloni e allude in modo disgustoso alla figlia minorenne, è stato «graziato» perché si è scusato.
Siamo di fronte a un paradosso: per certa magistratura italiana, sembra che il semplice fatto di aver chiesto scusa anche in modo generico e non diretto ai destinatari dell'offesa valga più della gravità del gesto compiuto. Lo Stato e le sue Istituzioni vengono così ridotti a caricature, offendibili impunemente da chiunque sia disposto a pronunciare delle scuse posticce.
Un giornalista intelligente ha giustamente osservato che ciò che si pretende dai bambini in età prescolare «chiedi scusa e prometti di non farlo più» sta diventando un salvacondotto per certi adulti immigrati, che beneficiano così di una sorta di irresponsabilità permanente.
Dulcis in fundo: un professore che ha pronunciato le parole «sei un cretino» rivolgendosi a uno studente è stato sanzionato con una censura da parte del dirigente scolastico. Ebbene, la nostra magistratura in tutti e tre i gradi di giudizio ha dichiarato quella sanzione legittima e doverosa.
Si può anche discutere sull'opportunità di usare termini come «cretino», benché ricorrenti nel linguaggio comune, ma il vero nodo resta il progressivo svuotamento dell'autorità educativa. In questo senso, va riconosciuto al ministro dell'Istruzione, Prof. Valditara, il merito di aver sollevato fin dall'inizio del suo mandato il tema del rispetto verso i docenti.
Purtroppo, questa è una «vox clamantis in deserto», soprattutto in ambito giudiziario, dove sembra che il ruolo dell'insegnante non venga più né protetto né riconosciuto come figura autorevole.
Con stima,
Prof. Fulvio Bianchi D'Urso
Caro Fulvio,
ti ringrazio per la tua lettera. Mi consola sapere che ci sono ancora lettori attenti, ironici e intelligenti che si indignano davanti al teatrino della nostra giustizia, che più che un potere dello Stato sembra diventata una succursale delle scuole elementari. Con la differenza che alle elementari i bambini, almeno, un po' di buonsenso ce l'hanno.
Tu hai centrato il punto: in Italia certe sentenze non sono soltanto discutibili, ma scandalose. E la cosa peggiore è che rivelano una tendenza culturale precisa: il buonismo ideologico, figlio della sinistra e della sua catechesi da quattro soldi.
Prendiamo il caso del senegalese assolto perché aveva picchiato la moglie «solo una volta». Una sola volta, capisci? Come se la violenza domestica fosse una raccolta punti del supermercato: cinque schiaffi e ritiri la condanna. Ma dico, stiamo scherzando? In realtà, qui non c'è niente da ridere: c'è da piangere per una donna umiliata due volte, prima dall'uomo che la colpisce e poi dallo Stato che le spiega che è troppo poco per indignarsi e per punire. È il trionfo della cultura del «minimizzare», che spesso accompagna i reati quando i colpevoli non sono italiani.
Poi il capolavoro: il camerunense che dileggia la Premier, insulta le forze dell'ordine, vomita schifezze su sua figlia minorenne, e viene «graziato» perché ha chiesto scusa. Si può essere più ridicoli di così? Per certa magistratura italiana, lo Stato e le istituzioni valgono meno di un «ops, ho sbagliato». Questo non è diritto, è farsa. Ma attenzione: il problema non è solo dei giudici. È la cultura che ci sta dietro. È il progressismo da centro sociale che, da anni, ha instillato nel Paese l'idea che chi offende lo Stato, se è straniero, va capito, coccolato, perdonato. Se invece sei un italiano che osa alzare la voce contro il sistema, allora ti fanno nero. Due pesi e due misure, sempre a favore del «diverso», purché faccia comodo alla retorica dell'inclusione.
E arriviamo alla scuola: un professore dice a uno studente «cretino». Non lo picchia, non lo minaccia, non lo discrimina. Lo richiama con una parola che tutti abbiamo usato almeno una volta. Risultato? Tre gradi di giudizio per sancire che il docente ha sbagliato. Ma siamo fuori di testa? Qui non si tratta di difendere un termine, bensì il principio: il professore deve avere autorità, non deve vivere con la paura che ogni parola diventi un caso giudiziario. Altrimenti finisce che i ragazzi comandano, gli insegnanti subiscono, e la scuola diventa un circo. Anzi, già lo è.
Il filo rosso è uno: la sinistra, col suo buonismo, ha avvelenato la giustizia. Ha insegnato ai giudici che bisogna sempre perdonare, comprendere, relativizzare. Non punire, ma giustificare. Non condannare, ma dialogare. Tutto in nome di un umanitarismo di facciata, che funziona soltanto con i delinquenti, esclusivamente a loro viene applicato. Perché con i cittadini onesti, con chi lavora, con chi paga le tasse, lo Stato è inflessibile. Non ti perdona una multa, non ti condona un errore: ti stanga. Invece se spacchi la testa a tua moglie o insulti la premier, ti premiano con la clemenza.
È la stessa logica che vediamo nei cortei: chi urla slogan antisemiti viene difeso come «ragazzo disagiato». È la stessa logica che giustifica ogni illegalità dei «migranti poverini» e che criminalizza ogni gesto di polizia. È la stessa logica che trasforma il criminale in vittima e la vittima in colpevole.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un Paese dove lo Stato non è più rispettato, perché è il primo a non rispettare se stesso. Le istituzioni non fanno paura ai delinquenti, fanno ridere. E noi cittadini siamo lasciati soli, in balia di giudici che sembrano aver scambiato i tribunali per centri di accoglienza.
Caro professore, tu mi chiedi se queste sentenze siano scandalose. Io dico: no, sono devastanti. Perché minano l'idea stessa di giustizia. Perché ci fanno vivere in un Paese dove se sei un cittadino perbene vieni schiacciato, e se sei un delinquente ti bastano un sorriso e una scusa per cavartela. Questo non è diritto, non è civiltà. È barbarie travestita da progresso.
E il mandante culturale è sempre lo stesso: la sinistra del buonismo, dei perdoni facili, delle scuse a comando, del rispetto negato a chi rappresenta l'autorità.
Una sinistra che ha allevato generazioni di giudici e intellettuali convinti che lo Stato sia sempre colpevole e chi lo insulta sia sempre vittima o eroe. Ecco perché oggi, grazie a loro, l'Italia è diventata un Paese dove la giustizia si riduce a ridicolo show.