
Ci ricordiamo tutti il terrore per una nuova crisi dello spread che una larga fetta di media, istituzioni e politica diffondeva, nell’estate-autunno del 2022, in vista del probabile successo del centro destra alle elezioni del 25 settembre di quell’anno. Lo spread, nelle settimane della vigilia, era intorno ai 220 punti (un Btp a 10 anni rendeva il 2,2% in più del corrispondente Bund tedesco). Oggi lo spread oscilla sugli 80 punti: significa – in estrema sintesi - che il debito pubblico costa allo Stato l’1,4% in meno di tre anni fa. Ancora più impressione è il confronto con la Francia: nel settembre 2022 lo spread con l’Italia era di 160 punti, mentre in questi giorni è sceso addirittura sotto a quota 10 (pari allo 0,1% di rendimento a 10 anni).
Questo breve riassunto sull’andamento dei mercati rispetto all’Italia è significativo di una importante verità: a parità di condizioni, a fare la differenza, in termini di affidabilità di un Paese, non sono i suoi fondamentali macroeconomici (Pil, debito e deficit) bensì la stabilità politica di un governo. Certo, sono necessarie alcune condizioni di fondo, quali la gestione oculata della spesa pubblica e delle entrate. Ma una volta che una coalizione politica non ha la necessità di governare con un orizzonte di breve periodo, il rischio di ricorrere a manovre elettorali tende a zero e il mercato lo capisce al volo. Il debito, alto che sia, è gestito e, anzi, diventa molto richiesto per la sua crescente affidabilità e un buon rendimento, ancorché destinato, proprio perché molto ricercato, a ridursi giorno dopo giorno.
La Francia è l’altra faccia di questa medaglia. Il suo spread con i titoli tedeschi, rimasto stretto e allineato per anni, dal 2024 è aumentato da 40 a 70 punti. Il suo debito pubblico, in termini assoluti, a fine 2025 è atteso a 3.470 miliardi, contro le stime di 3.081 miliardi di quello italiano. Sono quasi 400 miliardi di più, ma con una grossa differenza che è data dalla capacità di assorbirlo da parte della ricchezza privata, che in Italia è abbondante, in Francia quasi inesistente. Completano il quadro la crescita debole, accompagnata da una disoccupazione del 7,5% contro il 6,3 italiano, e una situazione pensionistica peggiore della nostra.
Ma tutto questo spaventa ancora di più si si guarda all’Eliseo, dove il presidente Macron è costretto, ormai da un anno, alla coabitazione con un governo debole e che non rispecchia la maggioranza che lo ha eletto nel 2022, ormai superata nei consensi, ma senza una solida alternativa: estrema destra ed estrema sinistra si dividono i sondaggi rendendo sempre più alto il rischio di ingovernabilità del Paese. Una situazione instabile che minaccia di protrarsi almeno fino al 2027, anno delle prossime elezioni presidenziali. Ecco perché la Francia è oggi il vero punto debole dell’Unione europea, pur avendo un rapporto debito/Pil (il parametro che più interessa al mercato) del 113%, contro il 135% italiano.
Ed è questo il motivo per cui le agenzie di rating considerano Parigi ancora più affidabile di Roma (Standard & Poor’s ha comunque ridotto di due step la distanza tra i due Paesi, ora divisi da soli quattro livelli di rating). Ma se il trend della politica dovesse confermare la stabilità del governo italiano contro l’incertezza di quello francese, anche le agenzie di rating reagiranno di conseguenza.