La dura vita da direttore del Tg1

Le confessioni dei giornalisti che hanno guidato l'ammiraglia Rai. "Dalla Dc al M5s, nulla cambia"

La dura vita da direttore del Tg1

Se la Rai è lo specchio fedele di chi comanda a Roma, il direttore del Tg1 «è come un ministro dell'esecutivo», racconta Carlo Rossella, approdato alla guida del primo Tg Rai nel '94, epoca Letizia Moratti, che gli propone l'incarico con una telefonata mentre lui è in vacanza a Lampedusa. «Potevi rimanere là», dirà uno dei giornalisti del Tg1 alla prima assemblea di redazione di Rossella, arrivato in quota berlusconiana e, quindi, guardato con sospetto. È uno dei dieci direttori interpellati da Ida Peritore (Sua Maestà il TG1. Dieci direttori svelano 30 anni di segreti, Male Edizioni), giornalista storica del Tg1 che, conoscendo l'azienda e il telegiornale in cui lavora, introduce il libro con la famosa massima del Gattopardo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Tutto cambia in Rai, e al Tg1, per restare in eterno com'è. «Quando la Rai diceva che si dovevano fare le assunzioni, chiedevo ai partiti una rosa di possibili candidati, i nomi li sceglievo io in questa rosa. Alcuni li conoscevo già, come Vincenzo Mollica, ho assunto anche Mentana», racconta Nuccio Fava, bis-direttore del Tg1 in due bienni diversi. La Peritore, entrata in Rai dal quotidiano Il Popolo e quindi in quota Dc, spiega che, oltre all'eterna spartizione di tg e canali (oggi tocca a Lega e M5s, più briciole per gli altri), c'è sempre stata anche la «zebratura», ovvero «far convivere nello stesso Tg quote di democristiani, socialisti, comunisti, repubblicani, socialdemocratici, liberali e così via. Con gli anni, sono cambiati i partiti, ma i criteri sono sempre rimasti lottizzatori». Bruno Vespa cade in disgrazia con il crollo della Dc nel '93 di Tangentopoli, pagando il prezzo di aver detto la verità come direttore del Tg1 («il mio editore di riferimento è la Dc»). Quella frase «mi mise contro gli ipocriti assunti quasi tutti per segnalazione politica, mentre io avevo vinto un concorso. Ma li capisco. Negli anni successivi sono venuti da me quasi tutti a dirmi che avevano sbagliato», racconta Vespa. Dopo le dimissioni dal Tg1, rimane nell'ombra per quasi due anni («Fui l'unico testimone nel '93 della visita di Scalfaro e Giovanni Paolo II ai luoghi dell'attentato di San Giovanni in Laterano. Mi fu detto di fare il servizio senza che si vedesse la mia faccia») prima di tornare con Porta a porta e restarci ininterrottamente fino ad oggi.

Nel '96, dopo una brevissima stagione di Rodolfo Brancoli, viene chiamato Marcello Sorgi. Che ricorda: «Al Tg1 ho capito che le pressioni politiche sono inversamente proporzionali al peso dei partiti che le fanno: così il maggior numero di telefonate le ricevevo dai leader delle formazioni minori!».

Cambiano i governi, cambia il direttore del Tg1 dove nel '98 viene promosso un interno, Giulio Borrelli.

«Prodi, presidente del Consiglio dell'epoca, nonostante avesse altre simpatie, non mi considerava un nemico - racconta Borrelli -. Questa sua posizione spianò la strada alla mia nomina a direttore negli anni del centrosinistra», ma due anni dopo viene silurato dal dg Celli per far posto a Gad Lerner, «vivace intellettuale di sinistra, molto legato a Prodi». Lerner (che non si è fatto intervistare perché «preferisce non rinvangare il passato») al Tg1 resta pochissimo, travolto dallo scandalo delle immagini di bambini vittime di pedofilia. «Forse la più brutta pagina del Tg1», raccontano i due capiredattori del politico Cesare Pucci e Giorgio Balzoni. Istruttivo anche il racconto dell'esordio di Lerner in redazione: «Fu subito circondato da colleghi ansiosi di farsi conoscere e, all'occorrenza, buscare qualche grado in più. Ognuno voleva mettersi in sintonia con Gad e prevenire i suoi desideri».

Clemente Mimun (direttore dal 2002 al 2006) ricorda come «pessimo» il clima trovato al Tg1: «Si sentivano, incomprensibilmente, i migliori, ma in generale la presunzione superava le capacità. E anche la pressione dei partiti, soprattutto di sinistra, a favore di questo o di quello, si rivelò a livelli record».

Complicata anche l'esperienza di Augusto Minzolini al Tg1: «In quel telegiornale è molto difficile cambiare qualcosa, sei assolutamente bloccato. C'è una cultura dominante cattocomunista che ha come unico obiettivo conservare il potere».

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