E sul fine vita il premier tace per proteggere il governo

E sul fine vita il premier tace per proteggere il governo

Nonostante giorni di grande sovraesposizione mediatica con gli annunci in pompa magna da Malta e New York sul «piano europeo contro l'immigrazione» o sul «patto contro l'evasione», Giuseppe Conte si guarda bene dal dire una sola parola sulla sentenza della Corte costituzionale che apre la strada al fine vita. Una scelta niente affatto casuale, dettata dalla volontà di tenere fuori il governo da un tema tanto spinoso e divisivo. Una questione etica che non sempre coincide con questa o quella collocazione politica e che inevitabilmente porterebbe l'esecutivo in un vicolo cieco. Volendo semplificare al massimo, infatti, si potrebbe dire che se il M5s è in buona sostanza favorevole (come pure Leu), il Pd è invece fatto di sensibilità diverse, con una forte incidenza della componente cattolica che viene dalla storia della Margherita. Così come il neonato partito renziano Italia viva, sensibile alle ragioni del Vaticano. Le stesse che fanno molta presa su Conte, che in questi mesi a Palazzo Chigi ha saldato un rapporto importante con la Cei.

Non è un caso che solo pochi giorni fa, proprio sul tema del fine vita il cardinale Gualtiero Bassetti - presidente della Conferenza episcopale - abbia avuto parole di elogio per il premier. D'altra parte, proprio Conte nel chiedere la fiducia al Senato lo scorso 10 settembre aveva usato argomenti molto cari al sentire della Chiesa. «Sarebbe opportuno incentivare il ricorso alle cure palliative, le misure per alleviare la sofferenza dei malati inguaribili e rafforzare la formazione bioetica degli operatori sanitari», era stato l'auspicio del premier.

In questo scenario, dunque, è nelle cose che Conte non voglia aggiungere l'ennesimo elemento di tensione. D'altra parte, il governo già viaggia sull'ottovolante a causa dello strappo di Matteo Renzi e della crisi di leadership di Luigi Di Maio. E aprire il fronte etico sarebbe politicamente un suicidio. Senza considerare che, temi di questo genere, sono tradizionalmente appannaggio del Parlamento, proprio perché molto trasversali. Peraltro, Conte sa bene di essere sostenuto da una maggioranza che, a differenza di quella precedente, sulla questione è decisamente più aperturista. Fino a un mese fa, infatti, il premier avrebbe potuto tranquillamente contare sull'argine del tanto odiato Matteo Salvini, che sul punto - seguito compattamente da tutta la Lega - ha posizioni decisamente più definite del Pd. Più definite e più vicine al sentire del presidente del Consiglio. Ora che la Lega ha lasciato il posto ai dem, insomma, il fronte dei contrari è più debole.

Lo sa bene anche Di Maio, che parla di «sentenza storica» e auspica «un confronto in Parlamento per un testo condiviso». Il Movimento, d'altra parte, è su questa linea da tempo. Sia alla Camera che al Senato ha infatti presentato due proposte di legge - rispettivamente di Doriana Sarli e Mattia Mantero - che prevedono l'eutanasia. Certo, come in tutti i partiti, qualche sensibilità diversa c'è (Emilio Carelli, per esempio). Ma la quasi totalità dei parlamentari M5s sarebbe favorevole a una normativa in materia. Diversa, dicevamo, la situazione nel Pd. Il segretario Nicola Zingaretti si è già espresso a favore di una legge sulla cosiddetta «dolce morte», ma la componente cattolica dei dem non vuole allontanarsi dalla sensibilità della Chiesa. Così come Renzi. L'ex premier non ha mai preso posizione sul tema, ma lo scorso 11 settembre il suo fedelissimo Luciano Nobili era presente al convegno organizzato dalla Cei in cui Bassetti elogiava Conte. Anche tra i renziani, però, esistono sensibilità diverse. Basti pensare all'ex radicale Roberto Giachetti. A dimostrazione di quanto il tema sia complesso e trasversale, pure dentro Leu non c'è un comune sentire (la deputata Giusy Occhionero non ha nascosto le sue perplessità).

Palla, dunque, alle Camere. «Il Parlamento dovrà darsi da fare al meglio nel solco di ciò che ha detto la Consulta», esorta il presidente della Camera Roberto Fico.

«Dovremmo subito mettere all'ordine del giorno questo tema», gli fa eco il presidente del Senato Elisabetta Casellati. E chissà che davvero, dopo un anno di stallo, Marco Cappato e i Radicali non costringano il Parlamento ad affrontare finalmente la questione.

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