Ebola, parla l'infettivologo: "Epidemia senza precedenti, ma a Milano siamo pronti"

Massimo Galli, ordinario di malattie infettive al Sacco di Milano: "In Italia di casi sospetti non ne abbiamo nemmeno uno"

Ebola, parla l'infettivologo: "Epidemia senza precedenti, ma a Milano siamo pronti"

La psicosi ebola impazza sui giornali e da pochi giorni è emersa la notizia che anche a Milano esiste un reparto speciale dell'ospedale Sacco attrezzato per fronteggiare eventuali emergenza. Ma quanto è reale il pericolo: lo abbiamo chiesto al professor Massimo Galli, ordinario di malattie infettive all'Università degli Studi di Milano e direttore della Divisione universitaria di malattie infettive all’ospedale Luigi Sacco.

Ebola, qual è il rischio concreto per l'Italia e per l'Europa?

Come cittadino del mondo, sono preoccupato perché è un’epidemia senza precedenti. Ci sono stati più di 8000 persone con più di 4000 decessi in tre Paesi, Sierra Leone, Guinea e Liberia. Nelle undici epidemie precedenti, dal 1976 al 2007 ci sono stati in totale appena 1378 casi.

Questa volta la deforestazione di una zona della Guinea ha privato del loro habitat naturale quei pipistrelli che hanno trasmesso il virus agli uomini. Ebola poi si è propagata per trasmissione interumana. In quei tre Paesi dell’Africa occidentale ha giocato l’alta densità della popolazione, la povertà degli Stati e le condizioni igienico-sanitarie meno adatte a contenere la diffusione del virus.

Come cittadino italiano invece debbo fare alcune considerazioni: i cittadini dei tre Paesi implicati che vivono in Italia sono meno di 7000. Le probabilità di viaggi di residenti in Italia al loro Paese d’origine e ritorno sono circoscritti a una comunità piccolissima, che oltretutto non ha verosimilmente le disponibilità per andare e tornare frequentemente. Inoltre l’Italia non ha voli diretti con questi Paesi, che sono collegati direttamente solo con Francia e Gran Bretagna. Comunque tutte queste tratte sono monitorate: il rischio maggiore, semmai, era concentrato a luglio e agosto, quando l’attenzione non era ancora esplosa a questi livelli.

Volendo fare una provocazione, bisognerebbe chiedere la patente di buona salute tanto a chi viene dal Texas quanto a chi viene dall’Africa.

A Milano che contromisure si stanno prendendo?

A Milano ci stiamo attrezzando non da oggi ma da anni: dal 2003 siamo stati indicati come centro di riferimento per l’Italia centrosettentrionale per le malattie ad alto rischio di trasmissione. La divisione ospedaliera del dipartimento di malattie infettive che dirigo si occupa di queste malattie da più di dieci anni. Addestriamo il personale, abbiamo aree attrezzate per contenere la diffusione del virus, per ricoverare e curare il paziente al massimo livello di sicurezza.

Ad ogni modo credo che sia più probabile ricoverare un collega o un’infermiera che rientra dall’Africa piuttosto che un caso sconosciuto e improvviso di una persona non “addetta ai lavori”. Ciononostante abbiamo protocolli e procedure per entrambe le situazioni.

Allo stato delle cose ci sono casi sospetti?

Nemmeno uno. Ci sono stati diversi falsi allarmi. Il caso che più si è avvicinato a quello che potremmo chiamare un caso sospetto è stato quello di una persona proveniente dalla Guinea che abbiamo visitato per una febbre. Ma era ben più di un mese fa e soprattutto si trattava di una persona che non aveva mai avuto contatti con persone ammalate: è questo l’elemento discriminante.

Esiste un rischio immigrazione?

Il problema riguarda Sierra Leone, Liberia e Guinea: per fortuna la maggioranza degli immigrati che arrivano sulle coste italiane vengono da tutt’altra parte. L’Africa è immensa, c’è una distanza maggiore tra Roma e la Guinea che non tra la Guinea e il Corno d’Africa, da dove proviene la maggior parte di quelli che arrivano sulle nostre spiagge. a grande maggioranza di quelli che arrivano sulle nostre cose arrivano da tutt’altra parte. La storia che l’ebola arrivi in barca è una sciocchezza.

Il vaccino è davvero a portata di mano come si dice?

Ci sono diverse ricerche in corso, in particolare due portate avanti da un consorzio canadese e da una multinazionale del farmaco. Ci sono tutta una serie di prove da fare su animali da esperimento ma che sono molto difficili in termini di possibilità di trasferimento in sicurezza all’uomo: non sai mai se quello che vedi nell’animale si riproduce allo stesso modo nell’uomo e viceversa.

D’altro canto nei tre Paesi sconvolti dall’epidemia non si può aspettare il vaccino: bisogna fermare l’ebola con metodi più tradizionali, non si può aspettare il vaccino. E anche noi ci stiamo preparando.

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