Cronache

Più casi in terapia intensiva: perché non deve far paura

Continua a salire il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Ma rispetto alla prima ondata i numeri ora sono più contenuti

Un operatore sanitario in un reparto di terapia intensiva (La Presse)
Un operatore sanitario in un reparto di terapia intensiva (La Presse)

Torna a crescere il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Un aumento lieve ma costante: ieri i contagiati finiti in rianimazione sono stati 13 in più, con il totale che è salito a 107. Una cifra che non si registrava da fine giugno e che ha portato alcuni esperti a lanciare l’allarme sui social.

È il caso del biologo Enrico Bucci, docente alla Temple University di Philadelphia che in un post pubblicato su Facebook ha espresso preoccupazione per l'aumento del numero di malati che necessitano di essere intubati: "La risposta con ritardo delle terapie intensive è iniziata, sono ancora numeri piccoli, ma la derivata di crescita aumenta, non sottovalutiamo questo segnale". "La natura non può essere ingannata", è il monito del professore che scommette su un nuovo aumento esponenziale dei casi. "Il tempo di raddoppio dei positivi" è "giunto al di sotto dei dieci giorni", scrive Bucci in un altro post, e l’Rt è salito a 3, "cioè in media da ogni positivo vengono infettate altre tre persone".

È difficile però pensare che questo possa essere l'inizio di una nuova catastrofe. Abbiamo davanti uno scenario diverso rispetto a quello dello scorso marzo. Analizzando i grafici, come quello sviluppato dal Sole 24 Ore sulla base dei dati del ministero della Salute, si nota subito come all’inizio dell’epidemia di coronavirus in Italia il numero dei ricoveri in terapia cresceva a ritmo decisamente più sostenuto. Il 28 febbraio, ad esempio, i pazienti Covid finiti in rianimazione erano 64. Il 6 marzo, dopo una settimana, il totale era già salito a 462. Dopo poco, il 3 aprile, si arriva al record negativo di 4068 contagiati in cura nei reparti di rianimazione di mezza Italia.

Da quel giorno in poi la curva è sempre stata discendente. Poi, a partire dalla metà di agosto, i pazienti più gravi, poco a poco, sono iniziati ad aumentare di nuovo. Si è trattato, fino alla scorsa settimana, di variazioni riguardanti poche unità. Ma le proporzioni sono molto diverse rispetto agli esordi della prima ondata. Il 14 marzo ad esempio il totale degli attualmente positivi era di 17750 e i ricoverati in terapia intensiva erano 1.518. Il primo settembre con 26.754 attualmente positivi, i pazienti in rianimazione sono "soltanto" 107.

Cifre che invitano ad un cauto ottimismo. Quello che finora ha contraddistinto anche gli addetti ai lavori. Come Massimo Antonelli, direttore del dipartimento Anestesia e Rianimazione del Policlinico Gemelli e membro del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid, il quale, recentemente intervistato dal Corriere della Sera, ha assicurato che "nelle terapie intensive i casi severi sono la minoranza". "C'è una leggera crescita – ha spiegato il medico - ma proporzionale all'aumento dei nuovi casi e comunque non preoccupante". Non ci sarebbero "disastri collegati alle vacanze" nemmeno secondo Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano che all’Adnkronos Salute assicura che in Italia "la situazione sta tenendo".

Insomma, quello che alcuni vedono come l’inizio della seconda ondata, non si profila all’orizzonte come un nuovo tsunami. Che la letalità del virus oggi sia più bassa è un dato di fatto. Lo dicono i numeri sui decessi giornalieri che restano esigui. Tra i fattori alla base del fenomeno c’è sicuramente l’abbassamento dell’età media dei contagiati. Il virus ora colpisce soprattutto i più giovani, meno attenti al distanziamento sociale. "Al momento non esiste alcuna emergenza sanitaria i casi sono a carico di persone giovani, per lo più asintomatiche, i ricoveri sono pochi anche se possono aumentare di qualche unità, le terapie intensive sono per fortuna pochissime", ha affermato lunedì scorso in una nota anche Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Igm).

Ha fatto scalpore, in questo senso, il caso degli anziani contagiati nel focolaio scoppiato qualche giorno fa nella Rsa Quarenghi, in zona Bonola a Milano. Dei 21 ospiti positivi nessuno è in condizioni critiche. Anzi, la maggior parte non ha alcun sintomo. La positività al virus è stata rilevata solo grazie al tracciamento. "C'è stata una mutazione del virus, a marzo e aprile di asintomatici ne vedevamo davvero pochi", ha commentato Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, in un’intervista all’Adnkronos. L’infettivologo descrive una "malattia profondamente diversa rispetto ai mesi passati". Forse, ipotizza, "siamo più bravi nel fare le diagnosi o forse c'è meno carica virale". Di sicuro, la situazione sembra essere cambiata rispetto al marzo scorso.

E oggi il virus fa meno paura.

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