Il Conte bis ha un problema di fiducia, non in Parlamento, ma nei rapporti umani. Il rischio è che salti tutto. Andrea Orlando, vice segretario del Pd e un tempo pezzo forte dei «giovani turchi», si è svegliato con l'idea che non si può sempre porgere l'altra guancia. È un pensiero poco cristiano, ma pure i santi perderebbero la pazienza di fronte a certi sorrisetti che arrivano da Rignano sull'Arno. Orlando ne ha parlato con il ministro Dario Franceschini e sa che Enrico Letta condivide lo stesso fastidio. Tutti e tre ritengono che il segretario Nicola Zingaretti non sia abbastanza fermo nel rintuzzare i capricci del novello fondatore di Italia Viva. «A quello lì se non gli urli in testa ti si mangia». Quello lì è Matteo Renzi.
La corrente «tolleranza zero» sta davvero prendendo forma nel Pd ed è una miccia nel cuore del governo. Sono tutti quelli che non si fidano di Renzi, temono i suoi scherzi da boy scout, quel modo che ha di consumare i suoi avversari con indisponente cinismo. La novità è che ora sono disposti a tutto, perfino a fare cadere il governo e andare alle elezioni a marzo. Non è un bluff. Non si può lasciare a Matteo la scelta di staccare la spina quando è più vantaggioso per lui. Il ragionamento è questo: il Pd sosterrà il costo politico ed elettorale della manovra economica, mentre Renzi si gode i frutti di stare al governo. Orlando, Letta e Franceschini non vogliono fare la fine di Mario Monti: i «responsabili» che pagano il conto per tutti.
Orlando lancia così un messaggio in chiaro a Renzi (e a Conte, Zingaretti e Di Maio). «Noi - dice - non vogliamo fare quattro campagne elettorali parallele da qui a quando si voterà. Non è che (...)
(...) se un ultimatum lo lanci dal Papeete è peggio che se lo lanci dalla Leopolda. Basta. Altrimenti si sfascia tutto». Orlando non sopporta soprattutto una parola che Matteo ama ripetere spesso: altrimenti. Renzi avverte, suggerisce, pone veti, ricorda, ammicca, indica mappe e priorità. Ogni volta poi aggiunge altrimenti, con i puntini di sospensione. È quello che fa impazzire i dem. «Altrimenti che? Altrimenti cosa?», si incavola Orlando. Qui c'è tutta la storia del Pd degli ultimi anni e ancora più in là. È dai tempi di Prodi e dell'Ulivo che la sinistra italiana è prigioniera degli «altrimenti». È come se fosse una maledizione genetica ereditata dalla scissione di Livorno del 1921, quando nasce il Partito comunista o, addirittura ancora prima, con le scissioni reciproche del socialismo tra riformisti e massimalisti, tra Turati e Mussolini. È una storia di ricatti e di altrimenti. Non finisce neppure quando Renzi si sposta al centro in cerca di sponde ancora tutte da improvvisare. Ecco allora la risposta dell'uomo di Rignano. «Il mio amico Andrea lo vedo un po' agitato. Orlando, per fare un termine di paragone, deve conoscere almeno uno dei due posti. Siccome alla Leopolda non s'è mai visto, viene il dubbio che sia andato qualche volta al Papeete per rilassarsi. Questi hanno fatto la guerra al Matteo sbagliato. Io e Salvini non siamo la stessa cosa. Non capisco la logica: io combatto contro Salvini e Orlando combatte contro di me».
La corrente Pd della «tolleranza zero» sa che il partito non avrà mai pace fino a quando Renzi scorrazzerà ai suoi confini. È meglio andare al voto e regolare i conti con lui prima che prenda forma. Estirpare. E Salvini? Salvini è un'altra questione. C'è la convinzione, magari sbagliata, che la stella dell'altro Matteo si stia sgonfiando. Meglio comunque affrontare le elezioni contro i sovranisti che sopravvivere ricattati da Renzi. È appunto il segno di una esasperazione umana. Le scelte politiche non seguono solo la ragione, c'è anche il sentimento. Non si gioca a scacchi, ma le sorti della Repubblica sono influenzate da simpatie, antipatie, irritazioni, litigi, orgoglio, umiliazioni mai digerite. Il fattore umano non è fuori dalla storia.
Il Conte bis è nato intorno a interessi comuni: fermare Salvini e rioccupare poltrone. È arrivato con la spinta esterna di Berlino e Parigi, ma c'era anche la voglia di replicare all'arroganza estiva del «re del Papeete». È lì che tutti i personaggi in campo hanno trovato un motivo per mettere su un'alleanza che resettava il recente passato. Le stesse ragioni «sentimentali» stanno però ora facendo implodere in fretta questa maggioranza instabile. Bastano pochi esempi. Di Maio soffre Conte e lo percepisce come un impostore nel territorio grillino. L'alleanza tattica con Renzi gli ha regalato un nuovo ruolo. Conte, da parte sua, si è liberato di un Matteo e se ne è ritrovato un altro. Il potere e l'ambizione sono elementi di stabilità.
I politici senza visione tendono a non rinunciare mai a una poltrona, eppure la parola chiave per capire quanta vita ha questo governo non è fatta di fredda ragione. È esasperazione. È quel continuo ripetere «altrimenti...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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