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Firenze, il legale del carabiniere: "Ecco perché quelle domande"

Parla l'avvocato di Pietro Costa, uno dei carabinieri accusati di stupro a Firenze: "Le mie domande? Nessuno sa cosa abbiamio scoperto. Ho la coscienza a posto"

Firenze, il legale del carabiniere: "Ecco perché quelle domande"

"Ho la coscienza a posto”. La voce calma non lascia trasparire la necessità di ribattere. È come se si scrollasse garbatamente di dosso tutte le parole di indignazione piovutegli addosso da un paio di giorni. Giorgio Carta è l’avvocato difensore di Pietro Costa, uno dei due carabinieri di Firenze accusati di stupro da due ragazze americane. I quotidiani hanno divulgato le domande che lui e la collega Cristina Menichetti (legale di Marco Camuffo) hanno rivolto alle studentesse durante l’incidente probatorio. Dodici ore e ventidue minuti di fuoco, finiti in pasto all’opinione pubblica.

Interrogatorio duro, certo. In cui il giudice aveva stabilito regole chiare: “Non sono ammesse domande che attengono alla sfera personale”. I verbali però raccontano altro: “Cosa diceva la sua amica quando urlava? Erano urla di parole o semplicemente urla di dolore?”. E ancora: “Voglio sapere se lei ha nascosto qualche indumento alla polizia”. Oppure: “È la prima volta che viene violentata in vita sua?”.

Inevitabile la disapprovazione (quasi) unanime, soprattutto tra chi non pratica l’arte dell’Azzeccagarbugli. “Non parlo del processo”, ripete più volte Carta a ilGiornale.it come a scolpire nella mente del cronista che “il momento per spiegare tutto sarà il dibattimento”. Non si pente, però, dei quesiti rivolti alle 20enni americane nell’aula bunker. “Le domande che ho posto hanno un senso”, spiega deciso. “Come avvocati abbiamo la necessità di verificare e avere riscontri su informazioni che abbiamo raccolto dalle nostre indagini”. Quali? “Siamo a conoscenza di elementi che le due ragazze non immaginano noi possiamo sapere. E non lo sanno nemmeno il giudice o la stampa. Non si può giudicare senza conoscere. Prima di meravigliarsi, bisognerebbe aspettare di ascoltare cosa abbiamo scoperto…”.

Per ora di accertato su quella sera di settembre al Flo’ ci sono due fatti: i carabinieri che riaccompagnano a casa le due studentesse ubriache e un rapporto sessuale consumato. Il tempo però allontana la cronaca e oggi a far notizia sono le domande dichiarate non ammissibili dalla toga. “Rispetto le sue decisioni, anche se non le condivido”, dice il legale. “Io ho la coscienza a posto perché il mio lavoro è quello di sviscerare l’accusa e difendere il mio assistito. Non volevo offendere nessuno, né sono stato guidato da istinti pruriginosi. Nessuna domanda è stata posta per curiosità personale: solo a ricerca della verità”.

L'avvocato è “stupefatto” che una persona accusata di un reato così grave “non possa difendersi” con tutte la armi a sua disposizione. Il giudice nel bunker ha parlato di “sadismo”, “ironia fuori luogo”, “insinuazioni antipatiche”, interrogativi “invadenti” e screditamento del teste. “Ho solo chiesto i circostanziare le notizie della loro denuncia per verificare eventuali incongruenze - ribatte Carta - Se incolpi un uomo di un reato così grave, il minimo che ti puoi aspettare è che io voglia sapere dove è successo, come, quando, se c’era luce o se era buio, se quella sera avevi bevuto prima o dopo il rapporto. Insomma: tutto. Non puoi non aspettarti una reazione simile dal legale di chi, lo ricordo, è innocente fino a prova contraria”.

Dopo la pubblicazione del verbale dell’interrogatorio, Giorgio Carta evoca “sentenze mediatiche”. “Vogliamo andare direttamente a giudizio saltando il processo?”, sorride ironico.

In fondo si dice “certo dell’innocenza” dei due militari: “Ho letto le carte, sono stati fessi ma non le hanno stuprate. Ne sono convinto come uomo, come avvocato e come ex carabiniere”. Ecco il perché di quella insistenza: “Se si aspettano che in aula mi alzi e mi rimetta alla clemenza della corte, beh: si sbagliano”.

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