"Fraccaro o crisi". Gigino ricatta ma Grillo lo gela

"Fraccaro o crisi". Gigino ricatta ma Grillo lo gela

«Luigi lo vedo stanco e confuso, avrebbe bisogno di un anno sabbatico». La sentenza, piuttosto tranchant, se l'è lasciata scappare qualche giorno fa in privato Beppe Grillo, stanco della personale battaglia ingaggiata da Di Maio per rimanere a tutti i costi attaccato alla poltrona di vicepremier. Un braccio di ferro da cui il leader grillino è uscito sconfitto, ma che ha avuto il suo secondo tempo nella mattinata di ieri. Quando l'intesa sulla composizione del Conte bis era ormai chiusa, infatti, Di Maio ha deciso di alzare le barricate sulla delicata poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, arrivando persino a minacciare nuovamente la crisi. «Quel posto è di Fraccaro, altrimenti salta tutto», è stato l'aut aut di Di Maio. Al quale Giuseppe Conte ha inutilmente provato a resistere, con sullo sfondo una forte irritazione del Quirinale. Perché il fatto che la soluzione di questa crisi sia stata profondamente condizionata dagli appetiti di poltrone del leader pentastellato sul Colle ha creato più di un fastidio.

Persa prima la guerra per restare vicepremier e poi la battaglia per andare al Viminale e ottenere così lo scalpo politico di Matteo Salvini, Di Maio ha infatti preteso il ministero degli Esteri. Una posto delicato per il leader grillino, non solo perché non spiccica una parola di inglese ma anche perché fu proprio lui che scatenò la crisi diplomatica con Parigi che lo scorso febbraio arrivò a richiamare in Francia l'ambasciatore. Nonostante tutto questo, Di Maio aveva però ottenuto il via libera per la Farnesina. Salvo poi ripensarci. Qualcuno, infatti, deve avergli spiegato che un ministro degli Esteri ha una fitta agenda di incontri non rinviabili in giro per il mondo. E che, dunque, avrebbe avuto non poca difficoltà a gestire via telefono e con fusi orari sempre diversi il suo ruolo di leader M5s e, soprattutto, capodelegazione grillino nel governo. Non a caso, l'altro capodelegazione il dem Dario Franceschini ha voluto per sé i Beni culturali, cioè un ministero leggero. Di qui, la pretesa di piazzare Fraccaro alla presidenza del Consiglio. Avere uno dei suoi uomini di fiducia nel ruolo chiave di sottosegretario di Palazzo Chigi, infatti, è per Di Maio la garanzia che anche in sua assenza potrà sempre avere occhi e orecchie sulle decisioni del Consiglio dei ministri. I dem, ovviamente, sulle prime non ne vogliono sapere, perché lo hanno detto più volte Conte è già un premier indicato dai Cinque stelle. E anche il presidente del Consiglio, che avrebbe voluto in quel posto il segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa, prova a resistere. «Ma come ti viene in mente di mettere in una posizione tanto delicata un uomo della Casaleggio», sbotta. Ma Di Maio che è ormai un professionista della battaglia delle poltrone non molla di un metro. «O così o salta tutto e si va al voto», è la sua replica. E con i suoi punta il dito su Conte: «Sta facendo il doppio gioco, ormai si è venduto al Pd».

Insomma, per un governo alla vigilia del giuramento, una situazione di una conflittualità senza precedenti. Che, se Di Maio continuerà a lanciare ultimatum, difficilmente potrà reggere a lungo. Una riflessione che fanno anche al Quirinale, dove l'ultima intemerata del leader grillino fa andare su tutte le furie anche i più pazienti. Va bene la comprensione per il momento di difficoltà di Di Maio, costretto prima al passo indietro, poi ad accettare nel governo ministri vicini a Roberto Fico e ormai con una leadership in discesa libera. Ma a tutto c'è un limite.

Ecco perché la sensazione è che ieri il neo ministro degli Esteri si sia giocato l'ultimo bonus. Alla fine, infatti, l'ha avuta vinta. Ma solo perché «non possiamo far saltare il Paese per i capricci di uno scapestrato».

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