Ma il freezer gialloverde congela la crisi

Lega e M5s sono in disaccordo su tutto: non risolvoo i problemi ma li affogano in un mare di dichiarazioni

Ma il freezer gialloverde congela la crisi

Si dice e si è scritto che noi passiamo un'intera vita a mettere in dubbio la prima impressione che abbiamo di una persona, per poi tornare inevitabilmente al giudizio di partenza. È un comportamento che potrebbe tranquillamente essere applicato alla politica, al governo gialloverde. Quando nacque, dieci mesi fa, la prima opinione fu che si trattasse di un matrimonio innaturale, di un sodalizio impossibile tra il diavolo e l'acqua santa, che le due identità programmatiche di leghisti e grillini rappresentassero due Italie diverse, magari contrapposte. Poi Giggino Di Maio e Matteo Salvini ci hanno spiegato per mesi che non era così, che l'impressione fosse sbagliata, arrivando entrambi a dire che non potevano immaginare un partner migliore: un rapporto idilliaco celebrato da murales con il bacio e promesse quinquennali. Ora, invece, giorno dopo giorno, registriamo che i due partiti sono in disaccordo su tutto. Che appaiono quasi incompatibili sulle cose da fare. E che l'alleanza è solo un festival di parole, magari scritte sull'acqua. Tant'è che ritorna alla mente quella frase pronunciata con l'onestà del professore universitario da Alberto Bagnai, in prestito alla Lega, proprio all'alba del governo Conte e riportata su questo giornale: «Non stiamo a parlare di programma. Al primo punto del contratto avremmo anche potuto inserire l'incendio di Nerone. Non è quello l'importante. L'importante sono le 200-300 nomine che stanno venendo a scadenza...».

Questa fu la prima impressione che ora torna in mente. Leghisti e grillini sono in disaccordo su tutto e i problemi sono affogati in un mare di dichiarazioni, ultimatum, minacce con l'unico risultato, alla fine, di riporre le questioni nel frigorifero: i nodi non vengono sciolti, ma congelati. Succede sui temi importanti e su quelli secondari. Se senti Salvini la Tav si farà, ma intanto Di Maio scommette di no. Per il leader della Lega la flat tax è ineluttabile, per quello grillino non c'è un euro. Pure sul principale dossier di politica estera, la via della seta made in China, la coppia della politica italiana è scoppiata: mentre Di Maio brindava con Xi Jinping, Salvini aizzava i commercianti. Ed ancora, mentre Matteo festeggiava gli ultimi trionfi su immigrazione e legittima difesa, Giggino si nascondeva dietro l'ironia e più di una riserva. Addirittura nella logica che una polemica tira l'altra, sono riusciti a trasformare i temi etici in una parodia, con i leghisti schierati sulla visione delle famiglie del cattolicesimo ortodosso e i grillini, di converso, con i gay. Ma nella confraternita gialloverde non è questo l'importante, l'importante è il Potere. Sulle nomine, infatti, Matteo e Giggino vanno d'accordo, ma le poltrone debbono essere rigorosamente due, secondo il vecchio schema basico e infantile, una a me e una a te, non fosse altro perché in questo caso non si può litigare. Se la poltrona, invece, è una sola e non può essere sdoppiata, inutile dire che sono guai. È fatale.

Un simile comportamento a lungo andare stanca. Anche perché i problemi, seppure congelati, ci riportano ad una realtà tragica: siamo l'unico Paese in recessione in Europa; il debito pubblico sale di mese in mese, mentre il sistema produttivo arranca; intanto l'Italia colleziona record negativi nelle classifiche o nelle tabelle delle istituzioni economiche nostrane e internazionali: da Bankitalia all'Fmi, dalla Bce alle agenzie di rating. Non per nulla il ministro Tria non sa neppure da dove cominciare per scrivere il Def da qui al 10 aprile. E visto che grillini e leghisti a un mese dalle elezioni Europee, coltivano sogni impossibili, il poveretto è di nuovo tornato nel mirino: entrambi, in questo caso di comune accordo ma per motivi opposti, lo vogliono sulla graticola.

È naturale che nella maggioranza (nella Lega come tra i grillini), nelle opposizioni e nelle istituzioni, in molti siano scontenti per lo stato delle cose. C'è pure chi tenta di dare un senso a questa situazione paradossale. «Non so perché lo fanno osserva il grillino Luca Carabetta, nel tentativo di spiegare l'inspiegabile ma alla fine l'intero dibattito politico è dentro la maggioranza, c'è una cosa e il suo contrario. L'opposizione non ha spazio». Esercizio nobile, ma se tirato per le lunghe logorante. Così per dare un senso ad una cosa che un senso non ce l'ha, per citare Vasco Rossi, si tornano ad usare le espressioni di sempre: si parla di crisi di governo e si paventano le elezioni anticipate. Ci sarebbero tutte le ragioni, ma tenendo conto ciò che si sono detti e ciò che è successo negli ultimi mesi, la crisi sarebbe dovuta scoppiare già ieri, non domani. Come pure se l'idea fosse davvero quella di andare al voto, la rottura già sarebbe stata consumata o dovrebbe essere consumata in tempi brevi: altrimenti si tornerebbero a ipotizzare, come ogni anno, le elezioni ad ottobre, proprio le elezioni (la Storia insegna)che non arrivano mai. Come i tartari di Buzzati.

Anche perché è difficile immaginare che i grillini possano essere mai animati dallo spirito del kamikaze: per un partito che alle Europee probabilmente scoprirà di aver perso in un anno più della metà dei suoi voti (già sta andando sotto quota 19%), l'idea di andare al voto equivale ad un mezzo suicidio; è più probabile, semmai, che Di Maio e soci decidano di acquattarsi all'ombra del più forte. Ma a parte questo, succeda ciò che deciderà Salvini, il lungo tran tran, la polemica continua, le rotture ventilate e mai ventilate, hanno già provocato un cambiamento nel costume: non solo hanno consumato l'economia, la politica delle infrastrutture, la nostra credibilità internazionale, ma anche il lessico della politica.

«Hanno svuotato anche la minaccia della crisi di governo e delle elezioni», ironizza l'avvocato e deputato di Forza Italia, Pierantonio Zanettin. «Sono riusciti - è il sarcasmo del vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli a sputtanare le parole». Di fatto, sono riusciti a congelare, ibernare persino la crisi, nella speranza, vana, di trovare una cura.

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