Governo flop: sugli esteri decide l'opposizione

Governo flop: sugli esteri decide l'opposizione

Il voto della Camera sul Global compact non è altro che l'emblema della stasi di un governo che per non implodere è costretto a fuggire pilatescamente le sue responsabilità. Al punto che, forse un caso unico, su una fondamentale decisione di politica estera come è l'adesione dell'Italia all'accordo Onu sull'immigrazione firmato da oltre 164 Paesi, l'esecutivo «si rimette all'aula» della Camera e i due partiti di maggioranza si astengono. Insomma, M5s e Lega non si esprimono. E l'impegno a non sottoscrivere il Global compact viene preso con soli 112 voti (su 630) che approvano una mozione presentata da Fratelli d'Italia, cioè da un partito d'opposizione. Un bizantinismo che avrebbe fatto drizzare i capelli al più navigato dei politici della prima Repubblica.

Fin qui la forma, perché quanto surreale sia stata la votazione andata in scena ieri a Montecitorio è del tutto evidente, soprattutto considerando quanto la questione migratoria sia decisiva nell'azione della maggioranza gialloverde e del governo Conte. Ancora più drammatica, se possibile, è la sostanza politica del voto. Che si porta dietro diversi contraccolpi.

Il primo è quello di sbugiardare un presidente del Consiglio che sul Global compact si era schierato pubblicamente a favore, in una sede importante come l'assemblea dell'Onu di New York. Era il 26 settembre 2018 e Giuseppe Conte disse che il governo italiano lo avrebbe «sostenuto» senza esitazioni. E pure dopo la presa di distanza di Matteo Salvini, fermamente contrario a sottoscrivere il Global compact, il premier ha continuato a lasciare intendere che una soluzione di compromesso la si sarebbe trovata. Non è andata così, anzi. È finita che Conte ha confermato di essere «prigioniero» di Palazzo Chigi e di non avere alcuna capacità decisionale, come d'altra parte già accaduto su diversi dossier chiave, primo tra tutti la Tav.

Il secondo contraccolpo è sul M5s, costretto per l'ennesima volta a chinare la testa davanti a Salvini. Perché mentre la Lega si è astenuta per vedere comunque vincere la sua linea, i Cinque stelle non si sono pronunciati, ma per soccombere. Non a caso in molti hanno preferito non essere in aula al momento del voto, mentre in tre (Giuseppe Brescia, Valentina Corneli e Doriana Sarli) hanno disatteso l'indicazione del gruppo e si sono espressi contro. Tutti deputati vicini al presidente della Camera Roberto Fico, che nel Movimento rappresenta l'anima più critica verso il governo.

Ma una qualche ripercussione il voto di ieri potrebbe averla anche nei futuri assetti della maggioranza. La mozione di Fratelli d'Italia, infatti, piaceva sì alla Lega ma ha trovato anche il sostegno di fatto - perché questo ha comportato l'astensione - del M5s. O almeno della parte maggioritaria e filogovernativa del Movimento che fa capo a Luigi Di Maio. Uno schema, quello andato in scena ieri, che prefigura proprio quel polo sovranista su cui sta lavorando Salvini. Il leader della Lega, infatti, è da tempo tentato dal «ripulire» il M5s dalla pattuglia che fa capo a Fico, così da provare a cannibalizzare il resto del Movimento. In questo disegno per il partito di Giorgia Meloni (che conta 32 deputati e 18 senatori) si aprirebbero le porte della maggioranza, così da «compensare» le uscite.

Non ci sarebbe spazio, invece, per Forza Italia, perché Salvini sul punto continua a essere categorico. Se e quando questo rimpasto dovesse realizzarsi, resta una sola incognita: chi siederà a Palazzo Chigi. Resterà Conte a fare da testa di legno oppure Salvini non resisterà alla tentazione?

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