Il Gran Triello tra faccine, pugni sul banco e tanti avverbi

Il Gran Triello tra faccine, pugni sul banco e tanti avverbi

Maledetti i social che ci avevano tolto il piacere dell'avanspettacolo politico. Come quello di ieri, dove nell'arena tesa del Senato il triello fra Conte, Salvini e Renzi è stato degno di Sergio Leone. Il Buono, il Brutto-e-Cattivo e pure il Bullo: frecciate, citazioni e battute. E dettagli rivelatori.

Spille, pochette e cravatte

Giacca aperta per Conte e Salvini, bottone chiuso per Renzi (a cui l'opposizione fa bene alla linea). Conte: cravatta rosso scuro da collezione Bersani 2013 preludio a future intese e pochette istituzionale. Salvini: cravatta verde Carroccio scuro, spilla dell'Alberto da Giussano e braccialetti, residui di un'estate che gli ha fatto bene all'abbronzatura ma non al colesterolo, stando al gonfiore. Renzi: obamiano in blu scuro e camicia bianca.

Cortesia e distanza

Sorrisi di circostanza, tirati come a un funerale. Il premier entra e dà la mano ai colleghi di governo, Salvini compreso. Matteo stupisce tutti e si siede accanto a Conte, ascoltando gli infiniti atti di accusa senza mai guardarlo di sotto in su. E quando il premier finisce, si limita a sussurrargli due parole, senza ulteriori strette di mano. Poi, marcando fisicamente la distanza, trasloca fra i banchi della Lega per il suo intervento da senatore semplice.

Carta canta

Conte tiene saldamente i fogli nella mano destra e legge il discorso senza mai incepparsi. Solennità a discapito della naturalezza, ma piace. Salvini non pare in grande forma e pasticcia: ha preparato tre discorsi, ma la raffica di attacchi lo stordisce e mescola i fogli sottolineati con un pennarellone giallo. Il risultato è un discorso confuso che passa dalla giustizia all'emergenza demografica. Non ha il passo, non replica alle accuse e non usa l'ironia: sembra il Renzi post referendum: più che un discorso, una diretta Facebook per i follower. Il dem invece va (quasi) a braccio, con pochi appunti nascosti. È il più conciso, si diverte.

Mani e pause

Approccio professorale per Conte: pause ponderate e teatrali, voce pastosa, pochi picchi retorici di intensità. Si indispettisce quando interrotto come con gli studenti indisciplinati. Salvini gesticola, fa il segno dei soldi per il business dei migranti, indica testa e cuore e disegna nuvole minacciose derivate dalle regolette Ue. Renzi retoricamente vince il confronto, il riposo gli ha fatto bene. Alza i ritmi e i toni, grida (demagogicamente) all'emergenza razzismo, mulina il dito accusatorio a 360°, picchia addirittura i pugni sul banco tipo Kruscev con la scarpa.

Il linguaggio

Forbito e ricercato quello del presidente del Consiglio. Insiste sull'«occorre» e sugli avverbi («fortemente», «inevitabilmente» e per ben tre volte «oggettivamente») e cita spesso «istituzioni», «responsabilità» e «cultura costituzionale», captatio benevolentiae dei senatori. Qualche costruzione è rococò («la fatua grancassa mediatica») e l'utilizzo dei termini «amici» e «caro» riferiti ai leghisti che sta bastonando danno l'effetto di un picchiatore mellifluo. Salvini è l'opposto, sceglie il registro del comizio e si rivolge «a chi sta a casa». Populisti si nasce, e lui lo nacque. Gli scappa il lombardismo «ussignùr» quando interrotto, cita spesso le «poltrone» e Saviano, due cose che forse un po' lo ossessionano. L'ex leader Pd invece punta senza originalità sul «fallimento». Rimane un battutista nato, sfotte Casini decano d'Aula, chiede al «signor ministro» Salvini se vuole «uscire dall'euro e entrare nel rublo» e gli predice la stessa sua solitudine.

Faccine di bronzo

Escludendo Di Maio in modalità maschera funeraria assiro-babilonese che non ha mai cambiato espressione in tutto il pomeriggio, Conte è il più composto quando parlano gli altri. Renzi se ne sta a braccia conserte: gli mancano solo i popcorn. Salvini invece è uno spettacolo per i non udenti. Mentre Conte accanto lo sommerge di contumelie, lui fa un controcomizio muto di faccine. È una collezione vivente di emoticon: fa no ai suoi che interrompono il premier, ridacchia delle Olimpiadi che M5s non voleva, alza il sopracciglio quando si cita la riforma fiscale. Si getta indietro, sbotta a ridere, scuote la testa e chiude un evocativo gesto con cui sottolinea l'applauso del Pd sulla questione russa. Come a dire: l'inciucio è fatto.

Le citazioni

Conte si impappina fra l'«illuminato» Federico II di Svevia (in realtà è Federico II di Prussia) e cita i filosofi Habermas e Buber. Salvini è più pop: dal liceo ripesca Cicerone, l'omnia vincit amor di Virgilio e il coraggio di Don Abbondio del Manzoni; dal catechismo la fiducia «che si guadagna coi fatti» di San Giovanni Paolo II. Renzi in pieno egocentrismo si limita al Vangelo. «Ovviamente» secondo Matteo.

Il convitato di pietra

È Giancarlo Giorgetti, che quando arriva fa sloggiare una grillina dal «suo» posto. Il sottosegretario si stropiccia la faccia per 50 minuti seduto davanti a Conte. Il quale lo saluta con affetto, gli dà un buffetto sulla spalla quando ricorda i suoi successi nella politica sportiva e lo abbraccia a fine discorso.

Per lui ha parole di rispetto anche Renzi, che gli ricorda simpaticamente come l'idea di mettere la sua foto in ogni ufficio non sia riuscita ad evitare la stessa fine ai gialloverdi. Quando parla Salvini, le telecamere pizzicano Giorgetti mentre parlotta e ride con Conte. Chi lo dice che per strappare bisogna fare la faccia feroce?

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