Sul primo dato, cioè che l'alleanza leghisti e grillini non abbia un respiro strategico sono d'accordo tutti nel centrodestra. La difficoltà, per non dire l'impossibilità, di coniugare i diversi punti del contratto di governo con la legge di Bilancio sta lì a dimostrarlo anche a chi ha scommesso che la relazione tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sarebbe trasformata in un matrimonio stabile. «L'ipotesi del polo populista - osserva il vicepresidente dei deputati azzurri, Roberto Occhiuto - non esiste più». «Non è mai esistita», taglia corto Daniela Santanchè. Mentre un liberale finito alla corte di Salvini come il deputato Giuseppe Basini avverte: «Con quello che passa il convento in questo Paese c'è solo il centrodestra». E Giorgia Meloni sentenzia: «Salvini ha capito che con i 5 Stelle non va da nessuna parte e che, nel bene e nel male, deve guardare agli alleati di sempre».
Su un altro elemento è difficile pensarla diversamente, sempre che non si metta in dubbio l'aritmetica: l'ultimo sondaggio della maga Alessandra Ghisleri assegna al centrodestra una percentuale del 46,5%, per cui la indica come la coalizione maggioritaria nel Paese. E in fondo quando Salvini ipotizza nell'intervista al Time un governo in Europa «senza i socialisti», propone, nei fatti, anche nel Parlamento di Strasburgo un'alleanza tra Ppe e populisti, cioè un'edizione europea del centrodestra italiano.
Partendo da questi due presupposti è evidente che al netto della diffidenza che spesso contraddistingue le alleanze divise tra chi è al governo (Lega), chi è all'opposizione (Forza Italia) e chi è nel limbo dell'astensione (Fratelli d'Italia) e delle legittime ambizioni egemoniche che covano in ogni coalizione, la strada obbligata è quella di «un ritorno al futuro», per usare il titolo di un celebre film, che permetta al centrodestra di sopravvivere in un presente che lo vede su posizioni diverse, e gli consenta, in un domani più o meno prossimo, di riproporsi come forza vincente per il governo del Paese. In fondo non è la prima volta che l'alleanza si trova in questa condizione anomala: la scorsa legislatura, in ruoli capovolti (Forza Italia limitrofa alla stanza dei bottoni e la Lega all'opposizione), era successa la stessa cosa.
Più che un'opzione, si tratta di una scelta obbligata, per superare una fase di stallo. Nei due vertici, quello di Arcore e quello di Palazzo Grazioli, Salvini è stato chiaro. «Caro Presidente - è stato in sintesi il ragionamento che ha fatto a Berlusconi - io ti voglio bene, sono pronto a garantirti su tutto, andremo insieme anche alle elezioni regionali, ma con la stessa franchezza ti dico che per quanto mi riguarda questo governo andrà avanti, su questo non ho dubbi, salvo imprevisti che oggi non possiamo prevedere né te, né io». Per cui a Berlusconi non è rimasto che vestire i panni della Cassandra: «Forse mi sbaglierò, ma questo governo ha i mesi contati». Due pronostici diversi, per mettere tra parentesi il presente e ritrovarsi sul futuro.
E adottando questo schema, appunto quello del ritorno al futuro, i contraenti hanno trovato un punto d'intesa: Forza Italia ha compiuto una virata di 180 gradi ed ha aperto la strada a Marcello Foa per la presidenza della Rai; sulle Regionali c'è l'impegno ad andare insieme ed è stato messo in piedi un comitato per selezionare le candidature. C'è pure un orientamento sulle caselle: il Piemonte toccherebbe a un nome vicino a Forza Italia; la Sardegna ad uno della Lega; l'Abruzzo a Fratelli d'Italia (per averlo la Meloni ha fatto il diavolo a quattro), mentre la Basilicata andrà a un azzurro. Addirittura, a dimostrazione che si ragiona in termini di prospettiva, Salvini ha già reclamato la candidatura per le prossime Regionali in Emilia Romagna per un leghista. Inoltre, c'è l'impegno ad appoggiare insieme provvedimenti legislativi che contengano punti programmatici del governo di centrodestra: in sintesi, la flat tax in Parlamento potrebbe avere l'appoggio pure di Forza Italia, il reddito di cittadinanza no.
Per cui tutto bene, ma con un rebus che solo il futuro potrà sciogliere: tutti sono d'accordo, infatti, che l'unica carta da giocare sia quella del centrodestra (non ce ne sono altre), ma ognuno ha in mente un'idea del centrodestra diversa. È nelle cose. Dai ragionamenti, dai discorsi, dai silenzi emerge, ad esempio, che Salvini vuole un centrodestra targato Salvini, quindi, con una marcata impronta «sovranista». Non potrebbe essere altrimenti, visto che i numeri sono dalla sua parte. «Prima - è l'analisi di Gianluca Cantalamessa, primo deputato leghista eletto a Napoli - avevamo Berlusconi nel ruolo di Maradona, ma non avevamo uno spogliatoio forte nella squadra del centrodestra. Ora il gioco è cambiato. Io come leghista qui a Napoli un anno fa quando cercavo voti sembravo uno che voleva vendere il ghiaccio agli eschimesi; oggi, invece, ho l'esclusiva della Apple. La domanda nei confronti di Salvini è cresciuta in termini esponenziali. E se vogliamo strappare Napoli alla sinistra che la governa da 42 anni (almeno a Bologna c'è stato Guazzaloca), dobbiamo cambiare gioco».
Legittime aspirazioni. E pensare che neppure quattro anni fa la Lega era al 2,9%. Poi, sfruttando fino in fondo il ruolo di opposizione e riorganizzandosi profondamente è arrivata al 30% di oggi. E oggi si candida al ruolo di perno di un nuovo centrodestra. «Salvini - confida Daniela Santanchè - pensa alla Lega alleata e un nuovo Pdl, composto da Fratelli d'Italia e da un pezzo di Forza Italia». A parte la vulgata, però, il problema non è nelle aspirazioni degli altri, ma è tutto nella capacità di Forza Italia di reagire: riuscirà a risorgere come la Lega, o no? Lo spazio ci sarebbe e un'area centrista forte sarebbe funzionale al centrodestra. Spiega Occhiuto: «Noi dovremmo mettere in pratica la stessa politica fatta dai leghisti la scorsa legislatura: nel ruolo di opposizione, intercettare l'elettorato che viene deluso dalla politica di questo governo, per mantenerlo nel recinto della coalizione di centrodestra». «Io - racconta Stefano Mugnai, coordinatore di Forza Italia in Toscana - la scorsa domenica sono andato a vedere mio figlio giocare a calcio e parlando con la gente ho scoperto che ci sono anche gli elettori leghisti pentiti, perché questo governo non gli sta dando risposte. Noi dovremmo rivolgerci a quelli e ai tanti delusi del Pd». Solo che per farlo devi crederci, un po' come la Lega, che quattro anni fa era moribonda e poi è resuscitata. E sicuramente, come la politica insegna, la strada non è quella di giocare in proprio. Eppure si racconta che il governatore della Liguria, Toti, accarezza ancora l'idea di mettere in piedi gruppi parlamentari con la sua etichetta, anche se le sue ambizioni sembrano declinare: dovevano essere trenta i parlamentari; poi sono scesi a 10; ora, dicono, a 4. Ed ancora, c'è Gianfranco Rotondi che teorizza la nascita dei «responsabili» della 18esima legislatura: «Potremmo mettere insieme - è il ragionamento che ha fatto in giro - un gruppo di trenta parlamentari per sostenere questo governo, se un pezzo dei 5stelle si staccasse, ed evitare le elezioni anticipate». Ed ancora, un personaggio radicato nella storia di Forza Italia come Laura Ravetto minaccia di lasciare il partito perché si sente emarginata.
Beh, questa per un partito
sicuramente non è la strada per risorgere: in fondo pure nella Lega di Salvini un posto per Umberto Bossi non manca. Per cui il centrodestra c'è ancora, ora deve dimostrare di esserci (ma dipende solo da lei) Forza Italia.
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