Il volto segnato dalle ferite, la mano fasciata e schegge dappertutto, ma forte e ottimista come sempre. Il fotoreporter Gabriele Micalizzi, ricoverato all'ospedale milanese San Raffaele, racconta come è sopravvissuto ad un razzo (...)
(...) Rpg lanciato dalle bandiere nere nell'ultima sacca dello Stato islamico nella Siria sud orientale.
Cosa ricordi del momento in cui sei stato colpito?
«Il fruscio mortale dell'Rpg. Ho capito subito che era un razzo dal rumore metallico che fende l'aria. Il combattente curdo davanti a me è stato colpito in pieno. L'ho visto esplodere in mille pezzi. Poi ricordo il colore giallo dell'esplosione, che mi ha scaraventato a terra come un lancio di dadi. Vedevo il cielo. Il primo pensiero è stato: porca tro..., mi hanno preso».
E poi?
«Non riuscivo ad alzarmi e a muovermi. Ero convinto che sarei morto. Mi sono toccato per primo il braccio sinistro dove c'era un buco. Ci ho infilato dentro il dito. Poi l'occhio sinistro, che era molle come se fosse un uovo à la coque. Cominciavo a vedere sempre meno. La faccia era piena di sangue, ma non sentivo dolore».
Pensavi veramente di non farcela?
«Uno, due, tre minuti..., mi sono chiesto: quanto tempo ci vuole per morire? Ad un certo punto mi sento tirare su dai combattenti curdi. Non riuscivo ad appoggiarmi sulle gambe. Mi hanno trascinato di sotto per caricarmi sul blindato. Volevo fumare l'ultima sigaretta. Ho cercato di prendere il pacchetto nella tasca dei pantaloni, ma le dita della mano erano maciullate».
Chi ti ha prestato i primi soccorsi?
«Adam, il consigliere per la sicurezza della Cnn. Mi ha bendato la testa e il volto. Gli ho chiesto: come sono i miei occhi? E ha risposto: Fottuti».
Cosa stavi facendo sul tetto?
«Seguivo l'avanzata dei curdi sotto il fuoco jihadista. Con il fotografo brasiliano Gabriel Cheim abbiamo raggiunto la postazione del comandante Baghuz, che era sul tetto. Mi ha mostrato una bandiera nera dell'Isis davanti a noi e ho scattato una foto. Poco dopo è arrivato il razzo. Baghuz era dietro al soldato caduto ed è stato ferito gravemente. Non dobbiamo mai dimenticare che i curdi combattono anche per noi».
Volevano colpire un giornalista?
«Il razzo era mirato perché sono terroristi e vogliono colpire gli occidentali».
Come ti sei salvato?
«Le schegge più importanti le ha assorbite il giubbotto antiproiettile, che si è sfasciato. Pure l'elmetto, insanguinato e ammaccato all'altezza della tempia, ha resistito. La Leica, che stavo usando per le foto, mi ha riparato gli occhi».
Come ti hanno evacuato?
«Dopo il blindato, sul retro di un pick up dove hanno steso un materasso. Abbiamo viaggiato per due ore e mezza su una strada piena di buche. Prendevo sonore capocciate ad ogni scossone, ma non morivo».
I curdi ti hanno portato ad una base americana...
«Quando siamo arrivati Mustafa Bali, il portavoce delle forze democratiche siriane (che hanno sconfitto l'Isis ndr) mi ha chiesto cosa dovevano fare. Ci eravamo salutati il giorno prima, sulla linea del fronte. Tu eri partito, ma ancora in Siria. Ho chiesto subito di mandarti dei messaggi vocali. Questo è uno: Ciao Fausto sono incasinato, mi devono operare agli occhi. Riesci a portarmi in Italia? Non lasciarmi qui. Ti abbraccio forte».
Quando hai capito che eri in salvo?
«Quando sono stato spogliato e infilato in una specie di guscio protettivo. Non ci vedevo, ma era chiaro che stavo decollando con un elicottero».
E una volta atterrato a Baghdad al Role 3, l'ospedale da campo Usa più attrezzato dell'area?
«Mi hanno operato agli occhi. Al risveglio dall'anestesia continuavo a non vedere. Allora il medico mi ha forzato l'apertura delle palpebre dell'occhio sinistro e mi sono visto il suo faccione davanti. Poi ho sentito una vocina: Gabriele, ciao, sono Francesca. Mi hanno mandato ad accudirti. Era un sottufficiale delle forze armate italiane preparata al primo soccorso. È arrivato anche il comandante della task force dei nostri corpi speciali. Mi sentivo finalmente al sicuro».
Tornerai al fronte?
«Certo».
Fausto Biloslavo
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