Cronache

"Io, incastrato e licenziato dalla Cgil vi racconto gli orrori del sindacato"

Giuseppe Filannino, dipendente del Caf Cgil di Bari, licenziato senza giusta causa, racconta la sua vicenda contro il sindacato. E lancia un appello alla Camusso

"Io, incastrato e licenziato dalla Cgil vi racconto gli orrori del sindacato"

Cacciato, reintegrato per ingiusto licenziamento, incastrato con un sotterfugio da film poliziesco. La vicenda di Giuseppe Filannino, 45 anni di Barletta, è di quelle capaci di scoperchiare il vaso di Pandora del sindacato. Di un sindacato, la Cgil, che “agisce come il peggiore dei padroni”.

Partiamo dal principio. Nel luglio scorso, Filannino si è visto recapitare la lettera di licenziamento dal Caf della Cgil di Bari in cui lavorava. L’accusa: aver trattenuto 800 euro da una signora per una pratica di successione. “Accusa falsa e infamante”, dice lui. Che infatti ha vinto il ricorso contro la “Bari servizi e lavoro Srl”, ottenendo il reintegro. Per il giudice la contestazione è “priva di alcun elemento di attendibilità”.

Secondo Filannino dietro il suo licenziamento si nasconderebbe una ritorsione per le sue attività sindacali nella R.S.U. In Cgil ci si aspetterebbe il paradiso contro il precariato. Sbagliato. Filannino infatti denuncia l’uso che è stato fatto nei Caf di Bari di “contratti di collaborazione, interinali oppure grigi”. Quei contratti tanto contrastati nelle proteste di piazza. Emblematico il caso di “una ragazza malata di cancro, Stella Boccardi, che prendeva appena 350 euro, senza un contratto veritiero”. Situazione peraltro denunciata al segretario provinciale senza mai risolvere il problema. Curioso, per un sindacato.

Non mancano poi dubbi investimenti e soldi che spariscono: “A Bari sono stati spesi 4 milioni di euro per una nuova sede”, mentre dalle casse dello Spi (Sindacato Pensionati Italiani) “sono spariti più di un milione di euro”. Mica briciole. Così i lavoratori “vedono svanire il loro posto di lavoro per colpa delle politiche di alcuni dirigenti" sullo "sperpero dei ricavi” del Caf.

Altra cosa strana, Filannino viene licenziato quando a luglio del 2014 i dipendenti a tempo indeterminato risultano segnati in ferie, anche se tutti erano regolarmente dietro le scrivanie. Luglio, peraltro, è un periodo pieno per le pratiche fiscali: non è che l’averli segnati in vacanza era volto a ottenere gli ammortizzatori sociali dall’Inps? Nello stesso periodo, infatti, non sarebbero stati nemmeno versati i contributi, evidenza confermata da una dichiarazione di mancanza di liquidità fatta dal Caf.

Non basta. Perché la Guardia di Finanza sta indagando (a seguito di un esposto) su compilazioni non necessarie di 730 e Isee per cui è previsto un rimborso da parte dello Stato. Gran parte degli introiti dei patronati, infatti, nascono dai soldi versati dall’Inps e dell’Agenzia delle Entrate per le pratiche di 730 e Isee. Una manna dal cielo. Soprattutto per gli imbroglioni. Pare che nei Caf (prima che l’Inps ponesse rimedio) venissero compilati Isee per più componenti di una stessa famiglia. Ottenendo così i rimborsi. Stessa storia per i 730 inutili, redatti convincendo le persone che si presentavano agli sportelli per altri motivi a fare anche quelli tanto non li paghi. Peccato finissero sulle spalle dei contribuenti che versano le tasse.

Quello che assorda, però, è il silenzio di dirigenti nazionali e locali. “In Cgil non scatta quasi mai la denuncia alla magistratura quando qualcuno commette atti illegali. È prassi farlo dimettere: hanno paura che racconti quello che combinano?”. Meglio coprirsi le spalle l’uno con l’altro ed evitare scandali. Una dirigenza su cui vige la legge non scritta del nepotismo: “É frequente che nella Cgil ci lavorino i parenti di altri sindacalisti”. Come se il posto si ereditasse.

Filannino, nella giorno della festa dei lavoratori, ha scritto un appello a Susanna Camuso (leggi sotto la lettera) per denunciare quanto successo a lui e nel Caf di Bari: “Ora - dice - non può più far finta di non sapere”. E allora viene da chiedersi: “Con quale faccia andiamo in piazza a rivendicare i diritti dei lavoratori se poi ci comportiamo così in casa nostra?”.

Manca, colpevolmente, la risposta.

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