Cronache

L'ennesimo primo giorno di scuola

Cinquanta volte il primo giorno. Che non ha (quasi) niente da invidiare al primo bacio

L'ennesimo primo giorno di scuola

Cinquanta volte il primo giorno. Che non ha (quasi) niente da invidiare al primo bacio. Si rincontrano oggi, in aula, gli studenti delle medie e degli istituti superiori, dopo mesi di adolescenza disarmonica, in differita. Per l'ennesimo primo giorno di scuola. È il piccolo, minuscolo risvolto romantico di quest'era infetta e infernale. Per i ragazzi, che avevano ingiustamente imparato a perdersi a vicenda.

I corridoi, gli zaini e i passi attutiti dal linoleum: si ricomincia, un'altra volta. Distanziati, disinfettati, imbavagliati, ma si rincontrano. Pronti a far faville con sguardi allenati da mesi di mascherine. Il Covid ha tolto quasi tutto, ma ha dato un sacco di primi giorni di scuola che, assieme all'ultimo, è quello che si ama di più. I gadget e i vestiti ordinati su Internet, le prove di acconciature in bagno, con le spazzole e la piastra dopo certi disastri prima dell'apertura dei parrucchieri, capelli che parevano tagliati a morsi, e poi i telefonini nuovi regalati per compensare le distanze imposte e difficili da spiegare, comunque: c'è tanto da sfoggiare. Compresi se stessi, fuori dagli schermi e dalla propria stanza. Dai che si riparte. Almeno per un po'.

Intanto c'è la grazia dell'inizio, che è sempre la promessa di tutto, che è sempre la soglia sulla quale ci si vorrebbe fermare. L'agenda da passare al compagno, i biglietti che girano clandestini all'ombra delle spiegazioni dei prof, quello di terza che non hai più visto ma hai solo spiato sui social. La scuola vera, che adesso si chiama «in presenza», come se davvero ne esistesse un'altra, «in assenza». È la fine di gennaio ma è il primo giorno. Senza addosso il sole dell'estate, senza il racconto delle conquiste al mare, senza mete esotiche negli occhi e vacanze nelle ossa. Ma è un inizio, di nuovo. E chi non lo vorrebbe un inizio? È qualcosa che irradia energia, come una batteria nuova, nel bene e nel male. I libri che pesano nelle cartelle, le merende portate da casa, i banchi sui quali stare composti. Tornare a vestirsi, a uscire, a camminare, a salutarsi in carne ed ossa, senza vedersi blu dalla luce di un computer, senza l'ovatta di una clausura perenne, increspata come un deserto di zucchero. Si esce. Dopo essere stati sepolti dalla slavina dei mesi, delle quarantene e dei lockdown.

Cinquanta volte il primo giorno. Che sa portarci indietro a tutto quello che abbiamo lasciato. E avanti, non si sa dove.

Prima o poi sarà quello giusto.

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