L'epoca dei referendum per simpatia

Noi, che non sappiamo né leggere né scrivere, preferiamo riforme zoppe a riforme ferme in un cassetto

L'epoca dei referendum per simpatia

Ricapitoliamo. Il referendum sulle trivelle è stato bocciato perché gli elettori, per quanto pressappochisti e disgustati della politica, sono più provveduti di coloro che l'hanno promosso. Infatti le trivelle servono per estrarre dai fondali marini il gas, che non inquina. E questo lo sanno anche i sassi. Tra i proponenti del plebiscito c'erano Regioni i cui capoluoghi sono in riva al Tirreno e all'Adriatico, nessuno dei quali è dotato di impianti di depurazione, per cui gli scarichi urbani finiscono nell'acqua salata, rendendola una cloaca a cielo aperto e a disposizione dei poveri bagnanti. Cosicché si giunge all'assurdo di rifiutare il gas pulito e tollerare tonnellate di deiezioni riversate impunemente in mare, lo stesso mare che in linea di principio si intendeva tutelare vietando le trivelle.

Basta questa osservazione a dimostrare l'insensatezza della consultazione fallita (per fortuna) domenica. Discorso chiuso. In autunno, tuttavia, si tornerà ai seggi per decidere se confermare o annullare le riforme renziane riguardanti la Costituzione: il vistoso ridimensionamento del Senato, in primis, e una serie di correzioni da apportarsi alle competenze regionali oggi troppo estese per effetto del famoso o famigerato articolo V.

Non è il caso di entrare nel merito dei quesiti che saranno posti agli elettori. Motivo: chi li leggerà allo scopo di esprimere poi la propria opinione non capirà un accidente e voterà - se voterà - basandosi sulle nozioni divulgate dalla propaganda dei partiti e dagli organi di informazione, stampa e tivù. Il che comporterà dei rischi. Questi: un elevato grado di astensionismo e suffragi dati a capocchia, cioè che esprimeranno sensazioni (simpatie o antipatie per Renzi) o pregiudizi di vario genere. Detto in altro modo, il plebiscito non verterà sulla sostanza delle questioni, bensì sulla persona del presidente del Consiglio, il cui gradimento negli ultimi tempi o è in calo (forse) o è oscillante (probabilmente). Pertanto sarà il solito referendum, squinternato e infedele. Con una aggravante. Trattandosi di referendum confermativo e non abrogativo, nell'occasione sarà privo di quorum. Significa che se si recheranno alle urne solo dieci persone, esso sarà valido comunque.

Da qui l'esigenza del premier di incitare i «suoi» a votare sì alle riforme per fronteggiare e superare lo schieramento a lui politicamente ostile, che tenterà di sgambettarlo e mandarlo a casa. Il nocciolo non sarà tecnico, ma tattico. Del Senato più che dimezzato non importa un'acca a nessuno, idem delle Regioni; l'opposizione sarà dunque impegnata a detronizzare Renzi, e la maggioranza, viceversa, a difenderlo e mantenerlo a Palazzo Chigi.

La nostra è una semplificazione, ma riflette la realtà in forma corretta. Ergo assisteremo a una battaglia fra renziani e anti-renziani. Vinceranno i più scaltri, quelli che disporranno dell'aiuto massiccio dei mezzi di comunicazione.

Sotto questo profilo, mi sembra più avvantaggiato - allo stato dell'arte - il presidente del Consiglio e la sua company.

Considerazione prammatica: noi, che non sappiamo né leggere né scrivere, preferiamo riforme zoppe a riforme ferme in un cassetto. Ma è solamente una nostra idea, in cui crediamo appena appena.

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