La lezione di Francesco: fede e non ideologia per costruire l'Europa

Il messaggio rivolto lla gente normale: carità e assistenza ai poveri, protagonisti della storia

La lezione di Francesco: fede e non ideologia per costruire l'Europa

L a giornata di ieri, sabato 25 marzo 2017, resterà nella storia per almeno due avvenimenti di straordinaria importanza.

Il primo è il tentativo dell'Europa di rimettere insieme i pezzi sgangherati della propria storia, ricordando le ragioni per cui è nata e le sfide mondiali cui questo istituto (spesso simile a un carrozzone) dovrebbe rispondere. Io credo nell'Europa e perciò spero che le belle immagini romane e il buonumore dei potenti siano d'auspicio per la soluzione di problemi che, come ha detto Mattarella, tra pochissimo potrebbero non essere più risolvibili.
Il secondo avvenimento è il messaggio che Papa Francesco ha voluto comunicare al mondo attraverso la sua visita nella più ricca, la più europea, la più ottimista delle città italiane: Milano.
A Roma c'erano gli uomini più importanti d'Europa, ma il più importante di tutti si trovava a Milano: l'unico uomo del pianeta per il quale folle immense si muovono. Per vederlo, per applaudirlo, per salutarlo. E non importa quanta fede abbiano, quanto cristianesimo ci sia in ciascuno: il Papa - anche per chi ne ha criticato, con tutto il diritto, alcune posizioni, financo dalle colonne di questo Giornale - rappresenta quello che tutti abbiamo nel cuore, consapevoli o no.
Ora, la politica è l'arte di accrescere nel tempo il valore di quella moneta che chiamiamo bisogno, desiderio, aspirazione. Per questo l'evento romano e quello milanese non possono essere disgiunti. Si tratta di capire con quali materiali vogliamo costruire l'edificio della convivenza umana di fronte alle sfide di un'epoca nuova, e come intendiamo guardare queste sfide.
In duomo, ieri, il Papa ha addirittura benedetto queste sfide, senza le quali, ha detto, la nostra fede (aggiungerei: tutte le nostre fedi, compresa quella laicista) si trasforma in ideologia. Lo ha fatto ben sapendo che la prima sfida non è quella della crisi, dell'immigrazione, o della difficoltà a reperire modelli di gestione di una situazione in continuo cambiamento: la prima sfida è quella della paura che ci prende davanti a tutto ciò.
Che ne sarà del nostro lavoro? Del futuro dei nostri figli? Della ragionevole sicurezza che finora, bene o male, ci ha assistito permettendoci di mettere su famiglia, di accogliere gli stranieri, di dare vita a progetti ragionevolmente duraturi?
La visita del Papa a Milano ha avuto come protagonista la gente normale, noi tutti, che il lunedì mattina ci carichiamo il peso della settimana, di figli in difficoltà, di un lavoro spesso poco gratificante, di rapporti che non decollano. Anche Milano, come tutto il mondo, è così.
A questa gente, e quindi a me, il Papa ha detto che non siamo soli, che le sfide sono utili, che le difficoltà possono aiutarci a costruire. La gente si è assiepata lungo tutto il percorso del Papa, a decine, a centinaia di migliaia di persone, da via Salomone a Piazza Duomo, fino al carcere, e poi al parco di Monza e a San Siro. Gente dappertutto, un milione solo a Monza.
Chi oggi tiene le redini di Milano sa cosa significa tutto questo? Tra i grandi progetti che occupano le menti della nuova classe dirigente cittadina c'è la consapevolezza del significato di questo percorso di un Papa che, accompagnato da tutta la città, ha toccato i luoghi del disagio e della sofferenza? C'è da augurarselo di tutto cuore.
La cosa che mi ha colpito di più è stata la visita a una famiglia musulmana. Il padre, tunisino, pochi minuti dopo che il Papa se n'era andato, ha detto: la sua visita in casa mia ha cambiato la mia vita. Come fa un uomo a dire questo con tanta certezza, pochi minuti dopo l'accaduto? Non possiamo non tornare con la memoria al Vangelo, alle visite che Gesù faceva in casa di questo e di quello, alla vibrazione, al sussulto intimo che quell'incontro produceva in loro.
La memoria della nostra città porta il segno di questa bellezza imprevedibile. Già Bonvesin De La Riva nel 1288 ricordava che, se le altre città hanno tanti monumenti illustri, Milano le supera tutte in opere di carità e assistenza. Il grande capolavoro della letteratura milanese, I Promessi Sposi, celebra la dignità degli «umili».
Non è infatti possibile immaginare un modello di convivenza (anche europea) basato solo sul denaro, sulla tecnologia e (alla lunga) sulla polizia.
Se pensiamo questo, presto il mondo ci esploderà tra le mani, a dispetto di qualunque messa in sicurezza. Il povero è e rimane il protagonista della storia del mondo, ed è su questo punto che, secondo me, non solo verremo tutti giudicati alla fine, ma giocheremo la carta del nostro futuro prossimo.

Il Papa è venuto a dirci questo, e le parole di quel mite musulmano ce lo confermano: oggi come 2000 anni fa.
Che Milano non dimentichi questa sua grande radice, laica e cristiana. In questo modo forse potrà dare corpo alle prospettive che soltanto lei, oggi, sembra (almeno in Italia) in grado di aprire.

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