Coronavirus

L'immunologo: "Il vaccino tra 2-3 anni. E i test al sangue non danno patentino di immunità"

L’immunologo Sergio Abrignani, dell'Università Statale di Milano, non vende false speranze. "Il vaccino lo avremo fra 2-3 anni" e spiega a cosa serve il patentino di immunità: "la presenza di IgG e IgM dimostra solo che il soggetto ha incontrato il virus, non che è protetto da ulteriori contagi"

L'immunologo: "Il vaccino tra 2-3 anni. E i test al sangue non danno patentino di immunità"

Anche il vaccino, come l'Italia, vivrà "tre fasi" ma saranno molto più lunghe e laboriose. Se è vero che il nostro Paese farà un passo in avanti dal 4 maggio, non sarà così per l'arma che ci proteggerà dal Covid-19 che ha tempi fisiologici molto più lunghi.

L'iter di un vaccino

"Per avere un vaccino efficace serviranno 2-3 anni", parola del Prof. Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare "Romeo ed Enrica Invernizzi". Abrignani è un esperto della materia, ha a che fare con i vaccini da anni dopo aver lavorato come ricercatore in una multinazionale americana che li produce. E non vende false speranze.

Fase uno

"Mettere a punto un nuovo vaccino richiede un percorso lungo e laborioso per garantirne sicurezza ed efficacia. La comunità scientifica mondiale sta facendo uno sforzo enorme per accelerare al massimo, ma parliamo comunque di anni, non di mesi - afferma l'esperto - i gruppi di ricerca più avanzati sono ancora alla fase 1, che consiste nelle verifiche su sicurezza e capacità di indurre risposta immunitaria".

Fase due e tre

"Tutti i vaccini che conosciamo hanno richiesto un minimo di otto anni tra ideazione ed immissione sul mercato" afferma Abrignani, che prevede, in questo caso, una riduzione delle tempistiche "grazie ad un impegno senza precedenti". Se i primi step saranno superati, "si passa alla fase 2, in cui vengono stabilite dosi e schedule di somministrazione, ed infine alla fase 3, ovvero lo studio di efficacia su persone a rischio di infezione. Si possono stringere i tempi, ma i passaggi sono obbligati".

È anche per queste ragioni che nel mondo c'è una corsa parallela alla ricerca di un farmaco che possa essere efficace. In questo senso, ottimi risultati si sono ottenuti dall'antivirale remdesivir testato sui macachi.

A che punto è la ricerca

Da quando è scoppiata la pandemia, si sono moltiplicate le multinazionali a lavoro e già si vedono i primi risultati. "Il primo vaccino, già in fase 1 sull’uomo, è basato su acidi nucleici: si inietta Rna che entra nelle nostre cellule dove viene tradotto nella proteina Spike, la chiave grazie alla quale il virus si propaga - fa sapere il professore - questa proteina dovrebbe indurre una risposta immunitaria protettiva. È una scommessa, perché finora i vaccini composti da acidi nucleici si sono rivelati poco efficaci nell’uomo: si è iniziato con questo perché lo sviluppo è più semplice e veloce, ma si lavora anche al metodo classico, con proteine ricombinanti o virus inattivato".

Il "patentino di immunità"

Intanto, per scoprire fino a che punto si è spinto il virus e quanta gente effettivamente abbia colpito, con i test sierologici si potrà sapere se il nostro sistema immunitario avrà o meno sviluppato gli anticorpi. Attenzione, però: non è detto che le persone già contagiate siano effettivamente immuni da un secondo contagio. Il "patentino di immunità" è utile per sapere la storia del Covid e capire quanto dura la risposta immunitaria ma il virus potrebbe sempre ritornare.

"La presenza di IgG e IgM (le immunoglobile, ndr) dimostra solo che il soggetto ha incontrato il virus, non che è protetto da ulteriori contagi. Per dare un patentino di immunità occorre avere a disposizione un test che identifichi gli anticorpi neutralizzanti, quelli efficaci nel bloccare l’infezione. Infatti - spiega l'immunologo al Corriere - una persona potrebbe avere tanti anticorpi ma non essere protetta, come avviene per esempio nell’infezione da Hiv o nell’epatite C, in cui la risposta immunitaria c’è ma è inutile. I test sierologici che misurano IgG e IgM sono importanti per mappare la storia di Sars-CoV-2 dal punto di vista epidemiologico e capire qual è la durata della memoria immunitaria.

Inoltre, servono a sapere quanti sono i soggetti infettati per stabilire il tasso di mortalità, che oggi in Lombardia si attesta al 17-18%".

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