L'Isis è ancora qui Non si abbassa la guardia contro gli jihadisti

L'Isis è ancora qui Non si abbassa la guardia contro gli jihadisti

Dalla strage di Manchester sono passati poco più di due mesi. E da allora non tutto è filato liscio. Un aspirante terrorista si è fatto esplodere sugli Champs-Élysées, un altro si è fatto saltare alla stazione di Bruxelles, mentre anche da noi si è diffusa la moda di accoltellare i poliziotti al grido di «Allah Akbar». Eppure per quella strana, quanto straordinaria, capacità d'adattamento umana chiamata assuefazione ci siamo convinti che tutto vada per il meglio, che la guerra al terrorismo sia quasi vinta. La mancata strage di soldati alla periferia di Parigi ci richiama alla realtà. Ci fa capire, una volta di più, che le batoste subite dal Califfato a Mosul e Raqqa ben difficilmente segneranno la sconfitta del terrorismo islamico. Quella vittorie rappresentano solo la disfatta della versione simmetrica e territoriale di un'organizzazione che ha avuto la

presunzione di erigersi a Stato. Ma accanto a quella dimensione ne esistono almeno altre tre che sopravvivono e continuano a minacciarci. C'è innanzitutto la dimensione asimmetrica, tipica di ogni organizzazione convinta di poter seminare il terrore nascondendosi nelle pieghe delle nostre società. Questa dimensione si annida oggi nelle nostre città e nelle nostre periferie. È rappresentata in Francia, Belgio, Inghilterra, Germania, e in tante altre nazioni europee, da quei musulmani di seconda, terza o quarta generazione che si sentono estranei alla nostra cultura e sono pronti a combatterci nel nome dell'islam radicale e jihadista. In Italia trova, e troverà, sempre più spazio tra quegli immigrati che - nonostante le utopie di un'accoglienza a tutti i costi - sarà impossibile integrare. Per combattere la manifestazione asimmetrica del terrore dobbiamo far piazza pulita di tutti quei seminatori d'odio che si annidano nelle comunità musulmane e tentano di trasformarle in comunità separate dove non vale la legge dello Stato, ma quella del Corano. Ma neanche questo basta. Come dimostra la propaganda dell'Isis la versione virtuale del terrore, diffusa attraverso internet e i social media, è capace di sedurre e trasformare in potenziali terroristi anche dei ragazzini confinati nella tranquillità, apparentemente inviolabile, delle loro camerette. Per vincere anche sul fronte «virtuale» gli Stati, Italia compresa, devono imporre le proprie regole alle multinazionali di Internet costringendo Google, e tutti gli altri, a rinunciare ai guadagni accumulati grazie ai milioni di clic realizzati dai messaggi dell'odio diffusi su piattaforme come Youtube e Facebook. Ma anche questo non basterà.

Fin quando i terroristi potranno contare sui finanziamenti provenienti dai circuiti bancari di Arabia Saudita e Qatar, fino a quando continueremo ad illuderci di avere come alleati nazioni dove la religione di Stato è quel culto wahabita dell'islam perseguito anche dai militanti di Isis e Al Qaida la sconfitta del terrore islamista resterà una lontana utopia.

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