Venticinque giorni dopo il giuramento del Conte 2 la «pax salviniana» sembra scricchiolare. Era in nome della comune opposizione a Matteo Salvini, infatti, che M5s e Pd si erano ritrovati seduti al tavolo per trattare termini e condizioni di un nuovo esecutivo che sventasse la prospettiva di elezioni anticipate dalle quali la Lega sarebbe presumibilmente uscita vincitrice. Ma, arrivato al pettine il nodo della legge di Bilancio, la tregua non pare reggere più. Colpa di due visioni molto distanti, certo. Ma anche dell'aggressività con cui Luigi Di Maio sta gestendo queste prime settimane di esperienza governativa con i dem. Il leader grillino, infatti, sembra essersi «salvinizzato», sempre pronto ad alzare il tiro e dettare pubblicamente condizioni. Con il Pd che sceglie invece un profilo più istituzionale, per evitare di farsi trascinare nel gorgo della polemica. Un equilibrio labile, che domenica sera è andato per la prima volta in crisi.
Il ministro Dario Franceschini, capo delegazione del Pd nel governo, non ha infatti per nulla gradito l'aut aut lanciato da Di Maio in diretta tv. «L'Iva non può aumentare, in nessuna aliquota», ha fatto sapere il ministro degli Esteri poco dopo le 21.30 dai microfoni di La7. Un'uscita inattesa, visto che da ore erano in corso trattative e ragionamenti sul tema, con un ampio tavolo che stava coinvolgendo anche Palazzo Chigi e, ovviamente, il ministero dell'Economia. «Così non si va avanti», è quindi sbottato con i suoi Franceschini.
Concetto che il ministro dei Beni culturali ha ripetuto anche durante le quattro ore di vertice notturno che sono andate in scena a Palazzo Chigi. Il primo cui hanno preso parte tutti e quattro i soci della maggioranza che sostiene il Conte 2: M5s (con Di Maio e Riccardo Fraccaro), Pd (con Franceschini), Italia viva (con il ministro Teresa Bellanova) e Leu (con il ministro Roberto Speranza). Seduti al tavolo, ovviamente, anche il premier Giuseppe Conte e il titolare dell'Economia Roberto Gualtieri.
«Cerchiamo di capire quali sono i termini del nostro rapporto», ha subito fatto presente il capodelegazione del Pd. Perché - è il senso del suo ragionamento - se facciamo riunioni tecniche e ci confrontiamo sulle soluzioni non è possibile che allo stesso tempo ci sia chi va a dettare la linea in tv. Soprattutto se l'intento è accreditarsi come quelli che lottano contro l'aumento dell'Iva che invece vorrebbero altri. Franceschini, insomma, non intende ripetere a parti invertite l'equilibrio che ha caratterizzato il Conte 1, con Salvini a picchiare duro e a rivendicare in ogni occasione e Di Maio all'angolo. «Noi non siamo la Lega», si è lasciato infatti sfuggire in privato il ministro dei Beni culturali. Come a dire che se il leader M5s ha un problema irrisolto è bene che alzi il telefono e se la veda con il diretto interessato. Perché pensare di usare il suo metodo con il Pd non ha senso. «Siamo politicamente abituati a un'interlocuzione diversa e la sede per confrontarsi come coalizione è questa», ha ripetuto Franceschini nella lunga notte a Palazzo Chigi.
Ma il bersaglio del Pd non è solo l'agitato e scomposto Di Maio. Ce n'è anche per Matteo Renzi se ieri pomeriggio il ministro dei Beni culturali ci ha tenuto a dire la sua con un tweet. «Avviso ai naviganti: la smania quotidiana di visibilità logora i governi. Già visto tutto. Si inventano litigi sull'Iva, quando nessuno vuole aumentarla, solo per avere qualche riflettore in più».
Una replica diretta al senatore di Rignano, che proprio ieri mattina puntava il dito su chi nell'esecutivo vorrebbe aumentare l'Iva: «Uno schiaffo ai consumatori, specie ai più poveri». D'altra parte, che il fronte renziano sia una spina nel fianco dei dem è cosa nota a tutti. Anche al M5s che, non a caso, ieri veicolava con una certa perfidia resoconti di «forti incomprensioni» tra Pd e Italia viva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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