Q ualcuno ancora ricorda il Rex, il transatlantico dei sogni, quello di Fellini in Amarcord, che scivola come un'apparizione sulle coste dell'Adriatico, come la sagoma di una giovinezza perduta. Era così grande e veloce da fare invidia al mondo. Ora non è che gli italiani non sappiano più progettare le navi. Lo fanno, e forse siamo ancora i migliori, solo che si fatica a trovare saldatori, carpentieri, falegnami, operai specializzati. Il lavoro c'è, ma nessuno lo vuole. È il paradosso di una penisola che non si riconosce più.
È una mattina di un'estate troppo calda e Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, sta parlando a una conferenza della Cisl, uno di quegli incontri dove aziende e sindacati cercano di capire cosa non funziona. Le parole del vecchio manager sono semplici, ma così spiazzanti da ribaltare ogni prospettiva. Dice. «Nei prossimi due o tre anni avremo bisogno di 5-6mila lavoratori ma non so dove andarli a trovare. Abbiamo lavoro per dieci anni e cresciamo a un ritmo del 10% ma sembra che i giovani abbiano perso la voglia di lavorare. Non capisco perché ci si accontenta di fare il rider per 500-600 euro, da noi un lavoratore medio prende 1.600 euro: purtroppo mi sembra che su questo abbiamo cambiato cultura».
Questo non è il mondo alla rovescia di Fincantieri. La ricerca di operai è un ritornello che si ripete in tutto il Nord. A Torre de' Roveri, alle porte di Bergamo, c'è un'azienda siderurgica. Il proprietario si chiama Roberto Barbetta e racconta: «Siamo come i sarti che confezionano abiti su misura. Non abbiamo sentito la crisi e le commesse sono cresciute. Vorremmo assumere, ma da un anno non troviamo profili giusti». Lo stesso discorso arriva da un produttore di bottoni bresciano leader nel mercato europeo. La piemontese Valvo Metal non trova operai meccanici. Si può andare avanti per ore. Il caso c'è e sta diventando difficile chiudere gli occhi.
Che sta succedendo? Certi lavori fanno paura. Sono i lavori del Novecento, pesanti, fordisti, da posto fisso, sicuri, con i turni di otto ore, gli straordinari pagati, le ferie d'agosto, tanta fatica, poca incertezza. Non sono lavori per tutti, perché certi mestieri devi saperli fare. Il sospetto è che siano fuori da questo tempo. È questa la mutazione culturale di cui parla Bono. Non ci appartengono più. È come se fossero scomparsi dall'orizzonte di una generazione in cerca di lavoro. È più semplice fare il fattorino per Deliveroo. Non è più bello. Ti pagano di meno, ma per paradosso è più affine a questa era precaria e incerta.
Il rider è un mestiere improvvisato. Non serve formazione. Nessuno pensa di farlo per tutta la vita. Ti lascia aperte le porte all'imponderabile. Non ti imprigiona. C'è l'illusione di potere gestire il tempo, quella della giornata, quello del futuro. Non è solo una necessità. Qualche volta può essere la scelta, magari sbagliata, di un male minore. È, appunto, una rivoluzione culturale del lavoro.
Tutto questo ha però un costo individuale e sociale. L'Italia sembra un animale sospeso in una metamorfosi interrotta. È il risultato di una mutazione genetica ferma a metà. Ha rinnegato il passato senza avere un futuro. Non ha operai e neppure laureati. Non ha la testa e ha perso le mani. È il Sud senza imprese e il Nord senza lavoratori.
È un paese di vecchi che si credono giovani e giovani che si sognano vecchi. È amarcord senza memoria. Tutti, generazione dopo generazione, stiamo qui ad aspettare il passaggio del Rex, ma nei cantieri non c'è più nessuno che lavora per costruirlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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