Maria Rita Parsi: "La comunicazione sbagliata farà più danni del coronavirus"

Parla la psicoterapeuta Maria Rita Parsi, e spiega che cosa è successo e cosa succede alle persone con la paura del contagio e delle conseguenze che questo sta portando

Maria Rita Parsi: "La comunicazione sbagliata farà più danni del coronavirus"

Psicopedagogista, psicoterapeuta, ma anche docente saggista e scrittrice, questa è Maria Rita Parsi, una delle più autorevoli voci italiane in fatto di psicoterapia. L’abbiamo intervistata per capire con lei che cosa sia la paura ai tempi del coronavirus. Come questo concetto, in apparenza semplice, sia in realtà molto più complicato di quello che si pensi. Non soltanto paura del virus: ora a questa si è sovrapposta prepotentemente quella dell’incertezza sul futuro. Dei problemi economici sempre più pressanti, del lavoro che non si trova e di quello che c’era che è andato perso. Un vero allarme sociale di cui purtroppo si parla poco, ma che è indissolubilmente legato ai tempi bui che stiamo vivendo e che, secondo la prof.ssa Parsi, è figlio di una comunicazione errata e che porterà, se non si pongono rimedi, a fare più danni del coronavirus stesso.

Cos'è la paura?

"La paura è una emozione di base, una reazione fisiologica di fondamentale, radicante importanza, che attiva, di fronte a potenziali pericoli, comportamenti tesi a tutelarci da ciò che non conosciamo o che può farci del male. O che, non avendo sperimentato di cosa si tratta costituisce per noi un percorso da fare. Anche tenendo conto che rappresenta un pericolo da indagare con cautela e non da “sfidare”. Così, la paura diminuisce, si attenua e, perfino, sparisce, quando riusciamo a conoscere e a gestire gli effetti di ciò che, prima, temevamo di non poter controllare. Solo allora, lo “sfidare” la paura costituisce un momento di basilare crescita psicoaffettiva e cognitiva. Per ciascuno e per tutti. E, ancora, “l'incipit del coraggio”. Un coraggio - per dirla con Pericle come narrato da Tucidide - che, quando diventa “indomito coraggio”, ci consente di essere liberi da ogni paura e, al contempo, di fare delle scelte, prendendocene “la responsabilità”. Pertanto, al tempo del Covid-19, avere paura del contagio e del rischio che il virus costituisce per ciascuno di noi, per i nostri figli, per i nostri parenti, per gli amici e per la società degli altri che accompagna la nostra vita quotidiana, dalla sanità mentale all’istruzione, al lavoro, è la naturale reazione ad un autentico, reale pericolo. Al quale, per essere di nuovo “felici” e “liberi”, bisogna reagire, con coraggio e senso di responsabilità. E, per essere responsabili, poi, è necessario, man mano che questa calamità avanza o arretra, muta e può tornare a colpire, ricercare, con serietà e metodo, le più aggiornate e corrette informazioni, in merito al Covid-19. Senza cedere alle approssimazioni o alle fake news. Altrimenti, quel che si determina è il panico".

Invece, il panico?

Una sorta di confusivo “marasma”. Uso, non a caso, questo sostantivo a “radice greca” che, letterariamente, significa "grave indebolimento del corpo”. Ovvero, un corpo che viene fisicamente consumato, per diverse ragioni o malattie, da un deperimento, fortunatamente, “reversibile”. Un deperimento che può e deve essere curato poiché, in senso figurato, può anche significare “indebolimento di un'istituzione”, “di un'organizzazione”. E, ancora, “decadimento morale”, “crisi”. E, dunque, quando si determina, in famiglia, in casa, nel sociale, un “caos”, tale da ingenerare “confusione”, impossibilità di comprendere, o di comprendersi, o di comprendere gli altri mentre si comunica e, aggiungo, “sul come e sul perché” si comunica in un certo modo, bisogna porre fine ad ogni confusione e, ad ogni “totale perdita dell'orientamento”. Laddove, poiché "ogni disturbo psicologico è un disturbo della comunicazione”, è proprio la salute mentale, individuale e collettiva, a farne le spese! Ed è la salute mentale, dunque, che bisogna recuperare nel microcosmo familiare come nel “macrocosmo sociale”.

In che modo si può arginare?

Individuando e contestualizzando, uno per uno, i veri problemi causati dal Covid-19, per arginarne i danni, attraverso percorsi e protocolli, umanisticamente, spiritualmente, scientificamente, legalmente ed economicamente validi. Evitando, perciò, soluzioni inconcludenti, sommarie, irresponsabili, ed orientando le scelte educative, sociali, sanitarie,legali, economiche verso la conoscenza, la consapevolezza, la responsabilità, la legalità, le competenze interdisciplinari, la creatività, la ricostruzione. E, dunque, senza dare spazio al “potere distruttivo” che, quale risposta all’angoscia di morte, madre di tutte le angosce umane, risponde con la “difesa distruttiva” del narcisismo maligno: “Io morirò, ma morirete tutti!”. E dal quale, proprio il non controllo delle situazioni prende spunto, per favorire l'adozione di comportamenti, individuali e collettivi , incontrollabili e incontrollati. Comportamenti maligni e asociali, forieri di ogni tipo di odio, manipolazione, criminalità, intrigo, tradimento, rabbia, furore, fuga dalle responsabilità. E, ancora, soluzioni “di comodo”, precarie, contraddittorie, che fanno aumentare il pericolo di ogni decadimento politico, amministrativo, sanitario, sociale, culturale, spirituale, umano. Si tratta, in sintesi, di combattere antichi tratti di "archetipici copioni comportamentali” che appartengono all'eredità dei primitivi processi evolutivi della razza umana .E che, non a caso, vengono "slatentizzati”, in questo caso, dal pericolo del contagio e della morte suscitato dal Covid-19. Ovvero, da reazioni emotive sconvolgenti che attivano - come puntualmente illustra, commentando alcuni aspetti psicologici di questa emergenza, il documento dell'Ordine degli Psicologi del Veneto - parti del nostro cervello (sistema limbico), legati alla paura e ai correlati comportamenti istintivi di sopravvivenza che abbiamo stratificato nell'arco di milioni di anni, durante la nostra evoluzione.

Che cosa si può, dunque, fare?

Intanto, evitare i martellanti quotidiani “bollettini di guerra”, veicolati dai tradizionali e nuovi mezzi di comunicazione di massa che hanno cannibalizzato ogni trasmissione, anche di intrattenimento e svago. E sostituendoli con seri approfondimenti, capaci di fornire, step by step, indicazioni, esempi, rinforzi psicologici e riferimenti utili a chi ricerca immediato sostegno. E, ancora, tenendo conto dell'illuminante "vademecum psicologico” stilato dal Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi che contiene sia un “Decalogo Antipanico” sia i suggerimenti delle buone pratiche, per affrontare il Covid-19. Vorrei - in qualità di psicologa, psicoterapeuta e docente, che questo “Vademecum” fosse preso in grande considerazione e soprattutto diffuso. Si può scaricare, in toto, dal sito dell'Ordine degli Psicologi. Si sottolinea, infatti, al primo punto, che è necessario attenersi ai fatti cioè ai pericoli “oggettivi” quando si vuole affrontare il contagio di questo virus. E, al secondo punto, si invita a non confondere una causa unica con un danno collaterale. Come dire che molti decessi non sono stati causati soltanto dall’azione del Covid 19. E, al terzo punto, che molti individui provano ansia e desiderio di agire, facendo qualunque cosa pur di far calare l'ansia. E questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi. E, ancora, al quarto punto, c’è l’ invito a non farsi prendere dal “contagio collettivo” del panico, che, io, personalmente, definirei "contagio emotivo”. Questo, infatti, porta ad ignorare i dati oggettivi, a far scadere la nostra capacità di giudizio e a fare delle cose sbagliate, ignorando azioni protettive, semplici e apparentemente banali, ma, in effetti, molto efficaci contro il coronavirus. Al sesto punto si sottolinea, infatti, che, in linea generale, troppe emozioni impediscono ragionamenti corretti e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia. Ovvero, allargando lo spazio-tempo nel quale si esaminano i fenomeni. Infine, vengono suggerite tre buone pratiche per affrontare il coronavirus.

Anzitutto, quella di evitare la ricerca compulsiva di informazioni, quella di usare e di diffondere fonti informative attendibili e, infine, quella di considerare il Covid-19 un drammatico fenomeno collettivo e non soltanto personale. Senza, naturalmente, vergognarsi di chiedere aiuto. E, invece, con coraggio, informarsi, formarsi e anche dare battaglia per ottenere sostegni e orientamento.

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