Mattarella, c'è un non detto

Il presidente esorta al voto, ma dimentica che a Silvio Berlusconi è ancora impedito candidarsi: un danno per gli elettori

Mattarella, c'è un non detto

Nel suo breve discorso di fine anno il presidente Mattarella ha ricordato alcune condizioni perché la democrazia possa dirsi compiuta. Tra queste, che alle urne, il 4 marzo, si rechi il maggior numero possibile di italiani (soprattutto dei giovani) e che i partiti facciano proposte realistiche per il futuro del paese. Perfetto, da sottoscrivere. Ma perché la democrazia fosse davvero compiuta servirebbe che fossero realizzate anche altre condizioni, o pre condizioni, sulle quali il presidente ha sorvolato con eccesso di leggerezza. Una di queste stride particolarmente con la retorica ufficiale. Mi riferisco all'impedimento costruito a tavolino per tenere fuori dal parlamento Silvio Berlusconi, leader dell'opposizione uscente e capo della coalizione data nei sondaggi come probabile vincente.

Sergio Mattarella non c'entra con l'agguato - regia del suo infausto predecessore Giorgio Napolitano - né gli è imputabile il colpevole ritardo (oltre quattro anni di attesa) con cui la Corte europea sta esaminando il ricorso di Berlusconi. Ma proprio per questo pensavamo e speravamo che il presidente avrebbe potuto fare un po' di chiarezza, e di giustizia, in una delle vicende più torbide della repubblica. Ai «ragazzi del '99», infatti, andrebbe spiegato perché in conseguenza di una sentenza emessa da una corte non naturale e anomala, con una legge usata solo contro Berlusconi, applicata in modo retroattivo e con voto palese, in violazione dei regolamenti del Senato, perché in presenza di un ricorso ritenuto fondato dalla Corte europea, perché - alla luce di tutto questo - al leader di uno dei tre tre blocchi politici in lizza il 4 marzo viene impedito di scendere in campo nel pieno dei suoi diritti.

Ecco, signor presidente, io penso che un giovane neoelettore che all'epoca dei fatti prima descritti era un bambino, possa chiedersi, indipendentemente da quale sarà il suo voto, in che razza di democrazia siamo. Tutto ciò stride con la sua richiesta alla politica di «proposte realistiche».

Sarebbe stato realistico trovare il modo di sanare questa ferita, figlia non di fatti oggettivi ma di un teorema messo in campo all'apice, come lei ben sa, di una guerra civile politica e giudiziaria che, alla fine, ha travolto tutti i protagonisti.

E se uno solo di loro, Berlusconi, sta rinascendo dalla cenere con le sue forze, non è un buon motivo per negare la verità sui fatti. E rimediare ai gravi errori commessi.

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