
In ritardo, mi hanno segnalato un articolo del direttore-editore di Milano Finanza su Generali e Mediobanca. E non si tratta della prima volta che una vicenda complessa come quella che riguarda Mediobanca, un pezzo importante della storia del nostro Paese, viene travisata e raccontata sommariamente. Peraltro, le circostanze raccontate sono talvolta inesatte e talvolta persino stravaganti. Sento il desiderio, anzi, il dovere di intervenire nella parte che conosco o che ho sentito dai diretti interessati.
Nell'articolo si racconta di come Cuccia avrebbe tradito il mandato di Raffaele Mattioli. Si tratta di un falso storico, evidentemente utilizzato come argomento strumentale alle attuali polemiche. Cuccia aveva per Mattioli un affetto ed una riconoscenza incorruttibili ma al tempo stesso aveva una stretta osservanza al suo ruolo di capo di Mediobanca ed una statura umana, professionale, intellettuale tale per cui non poteva esser che fedele a se stesso e alle sue responsabilità. Una caratteristica che nella mia piccola storia di uomo, di politico, di impresa e di finanza, posso riconoscere in modo speciale a due persone: Carlo Donat Cattin e Vincenzo Maranghi. Fine del discorso. Confondere la sua indipendenza con un tradimento del mandato di Mattioli è roba da dilettanti.
Sempre nell'articolo si parla di come Cesare Merzagora si trovò in uno scontro aperto con Cuccia. Qui mi rifaccio alla storia ed ai fatti noti. L'autore non fa cenno, riguardo Merzagora, dei suoi opachi e fortissimi rapporti con la massoneria che in quegli anni della Repubblica sono stati decisamente pericolosi. In particolare il suo ambiguo tentativo di cambiare la Costituzione, le sue relazioni non chiare con il Generale De Lorenzo fino alle esternazioni del 1967, sempre contro la Costituzione, che causarono, di fatto, la sua fine politica e, quindi, la pensione dorata alla presidenza di Generali.
Il paragone tra i due proprio non regge. Valga su tutto un quesito a cui anche un sasso saprebbe rispondere: Mattioli aveva più affetto, amicizia, stima per Cuccia o per Merzagora? Stima e affetto ricambiatissimi intendiamoci, sempre nel rispetto però delle proprie prerogative. A riprova dell'immenso legame di questi giganti sono tre gli oggetti personali che Cuccia volle lasciare al delfino Maranghi: un disegno di Modigliani, un'edizione antica dell'Orlando Furioso, un tagliacarte di Fabergé. Due erano doni che Cuccia aveva ricevuto da Mattioli e uno, il Modigliani, da Adolfo Tino, zio di Antonio Maccanico e storico presidente di Mediobanca.
Veniamo poi al minestrone rancido, che non diventa appetitoso se ripetuto più volte, di "Mediobanca solo al servizio delle grandi famiglie": una balla sesquipedale quasi quanto il refrain sui poteri forti, come se i poteri dovessero esser deboli! Come diceva il mio amico Mino Martinazzoli, "i poteri forti servono ai cervelli deboli", e così ho detto tutto.
Devo confessare di sentirmi un testimone attendibile. Da democristiano di sinistra, la parte sociale di Forze Nuove, prima di varcare la soglia di via Filodrammatici e conoscere Cuccia e Maranghi avevo pregiudizi simili. Poi ho conosciuto le persone e ho capito come girava il fumo e la storia di Mediobanca è lì a raccontarcelo, la vocazione privatistica fu la sola risposta alla lottizzazione dei partiti tra la fine degli anni '70 e gli '80. Quella di Mediobanca fu scelta obbligata, non solo le partecipate di Stato erano completamente nelle mani dei partiti ma con De Mita, Prodi, Andreatta, le pressioni democristiane sull'istituto erano fortissime. Cuccia e Maranghi conoscevano molto bene i limiti e anche le miserie del salotto buono, ma tra i terribili boiardi di seconda generazione - con quelli di prima, galantuomini professionali, tipo Fabiano Fabiani o Ettore Bernabei, c'erano sì differenze ma profonda stima e sempre dialogo - scelsero di difendere i capitalisti privati che c'erano. Prima e dopo quel periodo, che coincide con la privatizzazione, l'inclinazione verso la sfera pubblica di Mediobanca fu sempre presente e molte operazioni con colossi di Stato videro la banca protagonista. Prima di dare per scontato che la Borsa in Italia non esistesse per via di Cuccia, bisognerebbe ricordare che, in Italia, in quel periodo, c'erano i titoli di Stato che assicuravano il 12% o più di rendimento!
Che Mediobanca ritenesse le Assicurazioni Generali l'istituzione finanziaria più importante del sistema Paese è fuori discussione e se oggi ancora si considera il gruppo assicurativo la perla del nostro sistema il merito sarà stato o no anche del principale azionista? Poi le cose cambiano e bisogna capire le novità. E anche prima di scrivere dei cambiamenti occorrerebbe documentarsi. L'editore-direttore scrive che Bernheim divenne presidente di Generali grazie a Geronzi nel 2004. Bernheim fu cacciato da Cuccia e Maranghi da Generali nel 1999 poiché era stato "ambiguo" rispetto alle operazioni ostili concepite dal suo amico Gerardo Braggiotti: le Opa di Unicredit su Comit e Sanpaolo su Banca di Roma, entrambe naufragate. Io ero vice presidente di Unicredit e, ne sono convinto e lo dissi più volte a Maranghi, fu un errore farle naufragare.
Tornando alle Generali, Bernheim fu rimesso alla presidenza, grazie alla defenestrazione di Alfonso Desiata per scelta di Maranghi e Unicredit (Cuccia era morto l'anno prima) nel 2001. Tale decisione provocò uno scontro senza precedenti con l'allora governatore Antonio Fazio e con Giovanni Bazoli, strenui difensori di Desiata, ma creò le condizioni per il ritorno di Bernheim, altrimenti impossibile. Sempre l'editorialista ci spiega dei terribili rapporti ossessivi che i due ex giornalisti, Cuccia e Maranghi, avevano con gli ex colleghi e lo fa adombrando che le presunte reticenze di Cuccia costarono la vita ad Ambrosoli, un'autentica vergogna. Cosa doveva fare Cuccia di diverso da ciò che fece? Rientrato da quel viaggio da New York informò subito l'avvocato Alberto Crespi che, come raccontato in un'intervista al Corriere della Sera dopo la scomparsa di Cuccia, si affrettò ad informare dettagliatamente i giudici che coordinavano le indagini. Furono altri a lasciare solo Ambrosoli e i nemici di Sindona, nel deserto dei vili o peggio nella compiacenza degli amici, furono pochissimi: Baffi e Sarcinelli, Ugo La Malfa e Cuccia ed infine il più nobile, Ambrosoli appunto, che pagò con la vita la sua rettitudine.
Vorrei ancora precisare a chi scrive che Cuccia e Maranghi, in realtà, frequentavano eccome i giornalisti e, di alcuni, sono testimone. Negli anni, prima furono i Montanelli, gli Afeltra, i Ronchey e in anni più recenti autorevoli giornalisti e direttori delle principali testate.
Maranghi era un "hombre vertical" e se non stimava qualcuno si vedeva, senza finte smancerie. Il fatto che non parlasse con l'editore-direttore dipendeva soltanto da ciò che di lui pensava. Il "non saluto" maranghiano derivava da una disistima radicale nei suoi confronti. Qui credo risieda la causa principale del livore che il giornalista esprime. Cito un aneddoto: in occasione del crollo Parmalat, l'editore-direttore di cui sopra diede alle stampe un libro sulla vicenda, un instant book. Maranghi mi chiamò e, ridendo, mi disse "veda dottor Palenzona ho letto l'indice dei nomi del libro sul fallimento Parmalat, l'innominabile ha citato Cesare Geronzi una sola volta!" E poi, con il suo sarcasmo fiorentino, aggiunse: "È come se uno storico scrivesse un libro sul delitto Matteotti citando una volta sola Mussolini!".
Arriviamo allo sproloquio finale con una serie di ingiurie rivolte a Cuccia e soprattutto a Maranghi e solo sviolinate per Alberto Nagel con Renato Pagliaro, come fossero creature di un altro giardino zoologico (copyright Francesco Micheli). Ma questo signore sa che Nagel e Pagliaro e altri ancora sono rimasti lì oltre 20anni per l'autorità morale e il sacrificio personale di Maranghi? Questi, compreso che resistere oltre contro gli azionisti, avrebbe danneggiato e compromesso l'indipendenza di Mediobanca, con rilevanti impatti sulle Generali, si dimise; tutto ciò senza trattare soldi o ricompense, ma pose solo condizioni che poi sono quelle che hanno garantito nel tempo l'attuale assetto di governance di Mediobanca. Sappia l'autore che il mestiere i due manager l'hanno imparato tutto da lui e non certo alla McKinsey! Ma come fa un giornalista editore a non essere informato di tutto ciò? Ma di cosa stiamo parlando? Di un signore, Vincenzo Maranghi, che non ha lasciato un derivato nel portafoglio della banca! Di un banchiere che mettendo da parte rancori e interessi personali ha consentito a una istituzione del Paese di restare indipendente per 20 anni. Questo ha permesso ai suoi allievi di governarla con voluminosi stipendi e bonus e con delle infornate di dividendi per i soci che certamente lui e Cuccia non avrebbero elargito con tanta generosità; di un uomo che, prevedendo le degenerazioni connesse, unico in Italia, ha rifiutato per lui sdegnosamente le stock option, una montagna di soldi, nonostante il cda abbia insistito per assegnargliele. Di un professionista che di fronte ad un'operazione studiata dal suo primo azionista (noi di Unicredit), la quotazione di Ferrari, ritenendola incongrua per Ferrari stessa e per il suo azionista Fiat, si mette alla guida della sua Maserati, va a Torino, stringe la mano all'avvocato Agnelli che pure sapeva essere in regia contro di lui, compra a fermo il 34% della casa automobilistica. Tutto ciò facendo guadagnare successivamente un sacco di soldi sia al cliente che a Mediobanca; di un amministratore delegato che riceve Rupert Murdoch, dopo che ha fatto il giro delle banche italiane per comprare Telepiù, lo guarda in sala consiglio, con tutti che tremano, gli dice che è diventato matto ("Are you crazy!") a pagare il prezzo richiesto e gli fa risparmiare così 500 milioni (Murdoch qualche anno dopo gli chiese, andandolo a trovare a casa, di diventare presidente di Sky, naturalmente Maranghi rifiutò come tante altre offerte di cui sono testimone); nessun banchiere al mondo era e sarebbe capace di fare questo. E se Maranghi fosse rimasto a Mediobanca, nella crisi del 2008 avremmo avuto a disposizione il fondo creato con Carlyle e precisamente con Bush padre, con una potenza di fuoco da 10 miliardi di euro capace di intervenire a difesa delle imprese italiane, industriali e finanziarie. Ricordo a tutti noi che il quel momento le più grandi banche d'affari americane, così come gran parte delle istituzioni finanziarie europee versavano in gravi difficoltà senza avere capacità di intervento. Di chi può essere stato il merito se Mediobanca è forse l'unica banca al mondo a non aver avuto bisogno di aumenti di capitale nel 2008? A proposito dell'attuale internazionalità di Mediobanca, rispetto alla presunta dimensione locale di Cuccia e Maranghi, cosa ci sia di più internazionale di uno (Cuccia) che porta il dispaccio del Cln al generale Alexander a Lisbona o di uno (Maranghi) che da del matto a Murdoch la prima volta che lo incontra, non so davvero! Per non parlare poi del rispetto e della credibilità che godevano dai massimi vertici delle più importanti istituzioni finanziarie del mondo.
Ho sentito il dovere di intervenire per non associarmi al silenzio assordante di chi avrebbe avuto l'obbligo morale di intervenire: ad esempio da parte di coloro che debbono tutta la loro carriera e patrimonio alla scuola di Cuccia e Maranghi.
Ho sentito il dovere di intervenire per difendere l'onorabilità e i meriti di due assoluti giganti, e, come scrisse Cuccia a Maranghi nella lettera che gli fece avere dopo la sua morte, loro e soltanto loro sono la storia di Mediobanca. Una lettera che è un capolavoro e si conclude così: " Ella è meritevole almeno quanto me nell'opera di costruzione di Mediobanca". Era il 30 maggio, Cuccia sarebbe morto il 23 giugno.Fabrizio Palenzona