La "Società di servizi Cgil Sicilia srl", nata per gestire i Caf del sindacato nell'isola, è fallita lasciando dietro di sé un cratere da oltre sei milioni di euro. Una vicenda che stona clamorosamente con il tono moraleggiante con cui il segretario generale, Maurizio Landini, è solito richiamare imprese e pubblica amministrazione alle loro responsabilità in materia di salari, contributi e legalità. La vicenda stasera sarà ricostruita dettagliatamente dalla trasmissione di Massimo Giletti Lo Stato delle Cose, in onda stasera su Rai3.
La società di servizi, costituita negli anni Novanta e partecipata dalla Cgil regionale e dalle Camere del Lavoro siciliane, è stata messa in liquidazione giudiziale dal Tribunale di Catania con un passivo che nel bilancio 2022 raggiungeva quota 6,2 milioni di euro. Il presidente del cda è stato per anni Giuseppe La Loggia, oggi responsabile del patronato Inca Cgil Sicilia. È sotto la sua gestione che la società ha accumulato debiti giganteschi, finanziandosi di fatto non versando imposte, contributi previdenziali e tributi locali. Nel solo capitolo dei mancati versamenti contributivi - Inps, Inail, Agenzia delle Entrate - mancano all'appello circa 3,3 milioni di euro, quelli destinati alle tutele fondamentali dei lavoratori: invalidità, vecchiaia, infortuni. A questi si aggiungono circa 377mila euro di tributi diretti e Iva.
La lista dei creditori racconta meglio di qualsiasi analisi la gravità del caso: l'Agenzia delle Entrate reclama oltre 3 milioni, l'Istituto autonomo case popolari di Enna attende pagamenti, così come due privati. Tra questi un dipendente a tempo determinato, addetto alle pratiche del Caf, che vanta crediti per 150mila euro. Il sistema era semplice e brutale: contratto da 800 euro per tre mesi, lavoro effettivo per dodici e il resto pagato in nero, senza straordinari retribuiti. Una dinamica che, se riguardasse un'azienda privata, la Cgil non esiterebbe a definire sfruttamento.
Di fronte alle domande dell'inviato Alessio Lasta sul perché la società non abbia versato contributi e Iva, La Loggia ha reagito con stizza, insultando il giornalista e liquidando tutto con un'alzata di spalle: "Tante società falliscono in Italia quindi qual è il problema". Una risposta che suona quasi come una rivendicazione, l'idea che il fallimento, anche quando avviene ai danni dei lavoratori, sia un incidente normale, fisiologico, certamente non motivo di vergogna.
L'unico dirigente ad ammettere senza giri di parole quanto accaduto è il segretario regionale della Cgil, Alfio Mannino, che ha riconosciuto che "la gestione di questa società è stata un errore". Molto più opaco invece Landini. Il segretario nazionale ha replicato soltanto che "sono state fatte delle cose non buone, qualcuno dei nostri ha sbagliato", ma alla domanda su come sia possibile che La Loggia resti a capo dell'Inca dopo aver amministrato così male una società, si è rifugiato in un generico "noi stiamo mettendo a posto tutte le cose".
Eppure i documenti della procedura concorsuale dicono altro: il fallimento è aperto, il curatore nominato, le udienze si susseguono e i debiti restano lì, congelati ma enormi.
Intanto le ventisei sedi locali della società, disseminate in tutta la Sicilia, testimoniano la dimensione non marginale di un servizio costruito negli anni per essere un punto di riferimento per migliaia di cittadini. Per un sindacato che chiede trasparenza e legalità agli altri, la vicenda della Società di servizi Cgil Sicilia resta sicuramente un motivo di imbarazzo.