Migranti e terroristi islamici: quant'è facile entrare in Italia

In Italia si entra con una facilità incredibile, anche se si ha alle spalle precedenti penali di un certo peso, non soltanto con i barconi ma anche per vie “ufficiali”

Migranti e terroristi islamici: quant'è facile entrare in Italia

In Italia si entra con una facilità incredibile, anche se si ha alle spalle precedenti penali di un certo peso, non soltanto con i barconi ma anche per vie “ufficiali”. Per certi Paesi non è richiesto neanche il visto d’ingresso per soggiorni con durata massima di 90 giorni, dopo di che si può semplicemente scivolare nella clandestinità. Se poi si fa richiesta di asilo politico, dichiarando che nel proprio paese d’origine si rischia la vita (non necessariamente a causa di una guerra), raggiungere “sogno italiano” può diventare ancor più semplice. Ci sono casi recenti che dimostrano qual è la situazione attuale, come ad esempio quello di Osman Matammud, il torturatore e violentatore somalo arrestato lo scorso dicembre mentre si aggirava tranquillamente tra le sue ex vittime nel centro per rifugiati in Stazione Centrale a Milano. Matammud veniva posto in stato di arresto proprio dopo essere stato riconosciuto e aggredito da alcuni somali finiti nel “campo degli orrori” del personaggio in questione. È per merito loro se oggi il torturatore è in carcere e non grazie ai controlli che teoricamente dovrebbero filtrare chi entra ma che di fatto non sembrano funzionare. Lo scorso 5 marzo sbarcava a Lampedusa un cittadino ghanese che pochi giorni dopo veniva sottratto a un tentativo di linciaggio da parte di alcuni immigrati che lo avevano riconosciuto come l’uomo che li aveva torturati in Libia all’interno della “safe house”, prima che venissero mandati in Italia.

Dal racconto degli immigrati è emerso che venivano sottoposti a sevizie, anche in diretta telefonica con i propri parenti, ai quali veniva richiesto il pagamento di un riscatto. Dettagli che erano già emersi nel caso Matammud e ancora una volta il criminale è stato riconosciuto proprio grazie alle sue vittime, altrimenti? Lo avremmo ritrovato a vagare in qualche città italiana? Un altro caso interessante è quello di Denis Josue Hernandez Cabrera ,“palabrero” dei Barrio 18, una pandilla salvadoregna attiva da anni nel milanese tra via Sammartini e il parco Trotter. Hernandez Cabrera, noto anche come “el gato”, veniva arrestato nel settembre 2015 assieme ad altri quindici membri della gang (in gran parte salvadoregni ma vi sono inclusi anche due italiani), indagati a vario titolo di associazione per delinquere, tentato omicidio, rapina aggravata, spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, lesioni personali aggravate e detenzione e porto di armi da sparo e da taglio; fatti commessi a Milano tra il gennaio e l'ottobre 2014. La maxioperazione “Barrio” prese il via in seguito alla denuncia del 5 dicembre 2013 di una ragazza salvadoregna. Hernandez Cabrera, classe 1984 e leader della “clica” milanese dei Barrio 18, non era nuovo all’ambiente carcerario, avendo scontato ben 9 anni di reclusione presso il Sector 1 del penitenziario di Izalco in el Salvador, dal 2004 al 2013. Il sito salvadoregno “El Faro” rendeva noto in un pezzo come il “marero” si fosse allineato con il ramo dei “Sureños” del Barrio 18 in seguito alla scissione del 2005 (l’altro ramo è quello dei “Revolucionarios”) e che era talmente “malato” per la gang che sua madre, una volta terminato di scontare la condanna, l’ha portato in Italia, probabilmente nella speranza che Denis Josue si lasciasse quel mondo alle spalle, ma così non è stato. Com’è possibile che un soggetto con tali precedenti possa tranquillamente entrare in Italia e restarci? Il “principe” dei casi resta però quello di Anis Amri, il terrorista di Berlino arrivato dalla Tunisia nel 2011, radicalizzatosi in Sicilia dove si è tra l’altro distinto per una serie di aggressioni e atti vandalici e successivamente trasferitosi in Germania dove è entrato in contatto con la rete jihadista di Abu Wala. Il resto della storia è ben noto a tutti. Amri veniva ucciso a Sesto San Giovanni da una pattuglia della Polizia di Stato che lo aveva fermato per controlli.

Ancora una volta Amri era riuscito ad entrare in Italia senza alcun problema e ancora una volta è stato per pura casualità che è stato fermato. Se non fosse stato per la perspicacia e la professionalità degli agenti trovatisi lì in quel momento forse oggi sarebbe ancora a piede libero in Italia. Questi sono solo alcuni casi, ma chissà quanti altri ce ne sono.

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