"Non c'è posto per te". I Democratici fanno fuori Di Pietro

L'ex pm beffato non correrà

"Non c'è posto per te". I Democratici fanno fuori Di Pietro

Come sono lontani i tempi gloriosi del Mugello. Quando nel blindatissimo collegio rosso della rossa Toscana, Antonio Di Pietro sbaragliava il coriaceo Giuliano Ferrara e conquistava il seggio di senatore. Ventuno anni dopo la poesia è finita, la prosa è quella senza sconti del fiorentino Matteo Renzi che non ha alcuna intenzione di venerare la memoria di Mani pulite: niente riverenze al monumento di una stagione davvero unica, ma un bel calcio d'addio. L'ex pm è fuori dalle liste del Pd. Al suo posto nel Molise, che per Di Pietro è il cortile di casa, corre Enrico Colavita, il re dell'olio d'oliva e presidente di Assindustria che i ben informati considerano molto vicino al governatore uscente Paolo Di Laura Frattura. Tonino adieu.

Lui non si scompone e, conversando con il Giornale, contrattacca con ironia feroce: «Il veto su di me l'ha messo un tizio che dice di chiamarsi Renzi ma in realtà di cognome fa Berlusconi». Risata con i canini in evidenza. «Prendo atto che Renzi preferisce il pregiudicato Berlusconi al giustizialista Di Pietro. Quando il Pd mi ha offerto la candidatura io sono stato chiaro: Guardate che io voglio l'unità del centrosinistra, Pd e Leu, quindi se poi Renzi dovesse fare l'inciucio con il Cavaliere io mi opporrei».

Si ritorna ancora al passato, al Di Pietro pm che prima dell'interrogatorio con il Cavaliere esclama: «Io quello lo sfascio». Ma poi taglia la corda, si toglie la toga, diserta l'appuntamento. Addirittura si fa vedere alla corte di Silvio che gli offre un ministero pesante, quello dell'Interno, pur di averlo in squadra. L'altro si lascia corteggiare, tentenna, poi rifiuta, sostenendo che nulla di buono può venire da un team in cui Cesare Previti ha un ruolo così importante.

Di Pietro, che è di destra, si sposta per sempre a sinistra, anche se le sue origini di contadino meridionale ne fanno una sorta di sbirro dalle venature ultraconservatrici.

Non è più l'uomo più potente e temuto d'Italia, ma è pur sempre un'icona applaudita dai compagni, vezzeggiata da D'Alema, drappeggiata due volte come ministro dall'Ulivo di Prodi. Lui, che ha assaporato l'ubriacatura di una popolarità senza orizzonti, tiene alta l'ambizione e fonda il suo partito: l'Italia dei valori. Una sorta di Cinque stelle ante litteram nel colabrodo ulivista.

Ma i tempi non sono maturi e il personaggio che pure è stato evocato infinite volte, dalla guida della polizia a quella dei servizi segreti, ha i suoi punti deboli. È vulnerabile. Un'indagine appuntita di Milena Gabanelli segna la caduta definitiva dal piedistallo. Non è la polvere, ma l'epica di un tempo svanisce in una piccola palude tutta italiana.

E ora la riscossa annunciata si trasforma nell'ennesimo inciampo: «Renzi non umilia tanto me, ma il Pd molisano che non è espressione della minoranza, ma è renziano. Sono stati loro a cercarmi, a insistere, a darmi assicurazioni, ancora 24 ore fa. Ma Roma non mi voleva e in una notte ha cancellato il lavoro del partito locale».

Capitolo chiuso. E però con l'Antonio dalle mille vite - operaio, poliziotto, pm, parlamentare, avvocato - mai dire mai. Il mulinello delle voci, ripreso da Yoda sul Giornale, lo accredita come figura apicale di un inedito governo, se mai dovesse uscire dalle urne, a trazione grillina e con un Pd derenzizzato. Sarà. Senza dover accarezzare scenari arditi, c'è un obiettivo a portata di mano: le regionali del Molise, previste per il 22 aprile. «Credo che non mi presenterò - è il rebus finale consegnato da Di Pietro - ma non è detto che finisca cosi.

Certo, se mi impegnerò non lo farò con il Pd e neppure con quelli di Leu che pure mi hanno sondato ripetutamente in queste settimane. No, andrò allo scontro da solo: con il mio nome e cognome: Antonio Di Pietro». Sara l'occasione per pesare il declino: quel che resta, almeno in quel lembo d'Italia, della Rivoluzione che ha cambiato la nostra storia.

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