Non è reato elogiare la propria "virilità" davanti a una collega

Resta impunita l'espressione "Giuseppì, stasera ho un c...". Ma per la pacca sul sedere...

Non è reato elogiare la propria "virilità" davanti a una collega

Non è reato elogiare la virile tonicità del proprio organo sessuale a una collega di lavoro. Perché, secondo i giudici della Cassazione, questo tipo di "esaltazione" non è né più né meno che un "apprezzamento che l’uomo rivolge "a se stesso". E per questo non offende "la dignità altrui". Segeundo questo principio la Suprema Corte ha assolto dall’accusa di ingiuria un uomo che aveva detto alla collega, mentre la donna stava per cambiarsi nello spogliatoio sul posto di lavoro, "Giuseppì, stasera ho un c...". Poi le aveva dato una pacca sul sedere. Per la pacca, invece, Marcello M., aquilano 55enne, è stato definitivamente condannato per violenza sessuale a undici mesi e dieci giorni di reclusione.

Da tempo, la Suprema Corte ha inserito le pacche sul sedere tra le violenze sessuali. Nel ricorso alla Cassazione contro la decisione della Corte di Appello dell'Aquila, che aveva confermato la condanna dell’uomo a undici mesi e dieci giorni di reclusione per la pacca e altri venti giorni per l'ingiuria a Giuseppina R., il legale dell’imputato si è particolarmente impegnato a sostenere l'inoffensività della frase incriminata. "Si tratta solo di una assai grossolana proposta - ha fatto presente l’avvocato Massimo Carosi - il contenuto evidentemente autoreferenziale dell’espressione esplicita solo un effetto che si sarebbe prodotto nella persona, in questo caso Marcello M., e dunque non è un dileggio o un disprezzo".

Accogliendo questo punto di vista, i supremi giudici hanno stabilito che "pur essendo indubbia la terminologia volgare e ineducata delle specifiche parole ricomprese nella frase contestata", i giudici della Corte di Appello avrebbero dovuto concludere "stante l’inequivoco riferimento dell’imputato non già alla interlocutrice, bensì a se stesso, per l’assenza di offesa alla dignità altrui e, dunque, per la non integrazione del reato contestato". In pratica, relativamente al reato di ingiuria, la condanna per Marcello M. è stata annullata senza rinvio perché "il fatto non sussiste con conseguente eliminazione della pena".

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