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Ora Di Maio si "salvinizza" contro Conte

Ora Di Maio si "salvinizza" contro Conte

Che sia per una sorta di dipendenza psicologica dall'ex alleato di governo o per una ponderata scelta strategica, l'impressione che si sta facendo largo è quella di un lento ma inesorabile processo di «salvinizzazione» di Luigi Di Maio. Non certo sui temi, quanto sul modo di porsi e d'interloquire con i suoi nuovi soci di maggioranza. D'altra parte, qualche sentore lo avevano già colto ai piani alti di largo del Nazareno durante la complessa trattativa sulle poltrone del nascituro Conte bis, o Conte 2 come preferiscono chiamarlo a Palazzo Chigi per marcare la discontinuità tra ieri e oggi. «Di Maio vuole scimmiottare Salvini, vediamo fin dove arriva...», si erano infatti spinti a commentare in privato i big del Pd mentre il leader del M5s faceva il diavolo a quattro prima per conservare la poltrona di vicepremier, poi per avere quella del Viminale come scalpo politico del segretario della Lega e infine per ottenere almeno la Farnesina.

E già, perché durante quella settimana di trattative Di Maio non ha avuto esitazione alcuna ad alzare il volume della polemica, al punto che in molti sono tuttora convinti lo abbia fatto proprio per boicottare un accordo che non voleva e che gli è stato imposto (per certi versi dallo stesso premier Giuseppe Conte e per altri da Beppe Grillo). E seppure con un pizzico di cautela in più sempre su questa strada ha continuato a muoversi anche dopo la nascita del nuovo esecutivo. Basti pensare alla scelta di convocare alla Farnesina tutti i neoministri grillini il giorno dopo il giuramento. Con tanto di photo opportunity dei protagonisti seduti intorno a un tavolo, come a fare il verso al Consiglio dei ministri. Un modo per riaffermare la sua leadership all'interno del M5s, ma anche sul premier Conte. Come se il sottinteso fosse che i ministri pentastellati rispondono tanto a lui quanto al presidente del Consiglio. L'ultimo strappo risale a domenica scorsa, prima di involarsi per New York dove ieri ha debuttato da ministro degli Esteri al G7. Con un post su Facebook, infatti, ha stoppato l'idea di una tassa di scopo su merendine e bibite gassate su cui c'era già stato il via libera di Conte. Non è ovviamente un problema di merito, ma di forme. E i modi utilizzati sono stati un pubblico altolà a Palazzo Chigi: «Fermi tutti», ha tuonato Di Maio. Con buona pace dell'irritazione fatta veicolare ai media dall'entourage del premier.

D'altra parte, sono proprio il M5s e Conte i due grandi crucci del ministro degli Esteri. Il malessere all'interno del Movimento, infatti, continua a montare, rinforzato anche dalle lamentele interessate di chi è rimasto senza poltrona o di chi non l'ha avuta e pensava che sarebbe stato premiato. Senza considerare il fastidio verso un leader che in un solo anno ha fatto crollare i consensi del M5s dal 32% del 2018 al 17% del 2019 eppure è ancora saldamente in sella. Ma, forse, ancor di più pesa il ruolo che si va ritagliando Conte in queste ultime settimane. Perché è chiaro che il premier sta lavorando sulla costruzione di un proprio profilo dialogante e versatile che sta facendo salire di molto le sue quotazioni. Il rischio concreto, insomma, è che se l'alleanza M5s-Pd diventerà sistemica, Conte potrà avere tutte le carte in regola per scippargli la leadership del Movimento. O, comunque, per contendergliela. Di qui l'approccio nuovo dell'ultimo mese, quel voler sempre alzare l'asticella fino al limite massimo così da ritagliarsi un ruolo ben definito e autonomo anche dai destini dell'esecutivo. Una lezione imparata a sue spese dall'ex alleato Salvini, che spesso e volentieri faceva da controcanto al governo.

Una china che però è anche scivolosissima. Ne sa qualcosa proprio l'ex ministro dell'Interno, che per 14 mesi è riuscito a ritagliarsi il ruolo di leader incontrastato dell'esecutivo, quasi dando l'impressione di essere più uomo d'opposizione che di governo e moltiplicando i consensi di una Lega che tra le Politiche dello scorso anno e le Europee di maggio è passata dal 17 al 34%.

Ma che poi, in un giorno assolato d'agosto, si è fatto prendere la mano e ha finito per fare saltare il banco.

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