La parabola dei kamikaze del sovranismo

La parabola dei kamikaze del sovranismo

Da quell'incontro con il premier, Giuseppe Conte, da cui è stata ricevuta insieme all'altra capogruppo di Forza Italia, Annamaria Bernini, Maria Stella Gelmini è uscita sconsolata. «Questi sono dei kamikaze»: è l'unica frase laconica che le è uscita dalla bocca. La spiegazione è tutta nella cronaca del colloquio. Quando è stato chiesto al premier di intervenire sui Cinque stelle per diminuire il tasso di «avventurismo» che c'è nella manovra bocciata urbi et orbi dalle istituzioni italiane e internazionali, la risposta è stata: «Questa è la mia manovra. E comunque lo spread non arriverà mai a 400 punti». Discorso un po' semplicistico, dato che già ora, con le piroette sui 300 punti, secondo Bankitalia il nostro Paese pagherà in tre anni 10 miliardi in più di interessi sui titoli. Per l'Ufficio parlamentare di bilancio addirittura 17. Non è andata meglio, a parte i toni e il galateo, neppure al capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel pranzo al Quirinale con mezzo governo: lui a predicar prudenza e i suoi interlocutori, quelli che contano, a dare solo rassicurazioni formali.

Appunto, Giggino Di Maio e, per non mostrarsi più vile, Matteo Salvini, ricordano i kamikaze giapponesi. Si sono fasciati la fronte con le bandiere del populismo e del sovranismo. Poi con la manovra in mano e gridando «banzai», hanno puntato dritti sulla portaerei Bruxelles: o l'affonderanno, almeno nella versione attuale; o si schianteranno, e con loro il Paese.

Ormai si tratta di uno scontro ideologico tra i parametri Ue e quel 2,4% nel rapporto deficit-Pil, che è diventato il totem del governo gialloverde. Ed è inutile perdere tempo con i vertici o cambiando i contenuti della manovra. Dopo mesi di minacce pubbliche grilloleghiste, l'unico modo per calmare Bruxelles e tranquillizzare i mercati secondo la legge del contrappasso - è un annuncio del nostro governo in senso contrario rispetto a quel 2,4%. È quel numero che determinerà l'esito del duello tra europeisti e populisti.

E già, lo scontro tra ideologie genera solo tragedie. Vai, però, a spiegarlo a dei kamikaze: impossibile. Se ne è accorto pure il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, che su consiglio del governatore della Bce, Mario Draghi, sta tentando di evitare il peggio. Invano. «Se io sposto qualcosa nella manovra ha raccontato ai suoi interlocutori Salvini la ricambia nuovamente. Non vuole che sia il solo Di Maio il protagonista della guerra con la Ue». L'unica furbata che è riuscito a mettere in pratica è stata quella di trasformare una parte degli interventi (compreso il reddito di cittadinanza) in 12 disegni di legge collegati. Un modo per guadagnare tempo. Non è andata meglio neppure ad Alberto Brambilla, consigliere di Salvini. «Guarda Matteo che l'operazione sulle pensioni ha spiegato al leader della Lega ci costerà 10 miliardi di euro. Troppi». L'altro, senza scomporsi, gli ha risposto: «Lo so, ma ci sono le europee».

I voti, il consenso, che poi è tutto da vedere. Addirittura Salvini invoca l'aiuto dei risparmiatori, li sprona a comprare titoli di Stato. «Mi ricorda osserva il coordinatore toscano di Forza Italia, Stefano Mugnai - il Duce che chiedeva l'oro per la Patria. Solo che nel Paese dei risparmiatori, i risparmi vanno tutelati. Quando gli italiani andranno in banca e scopriranno che i loro titoli o azioni varranno meno per colpa dello spread o dei ribassi in Borsa, per Salvini saranno guai». È difficile, infatti, che gli italiani, sull'altare del sovranismo, si trasformino in tanti kamikaze. È più facile che diventino tanti Tozzi Fan, il kamikaze del film di Fantozzi, che invece di gettarsi sull'obiettivo, dopo aver fatto il gesto dell'ombrello, si salva con il paracadute. Insomma, il rischio per Salvini è che gli elettori, specie al Nord, abbandonino, con la mano sul portafoglio, i sovranisti al loro destino. «L'Europa va cambiata è il commento dell'azzurro Marco Marin ma non con la spregiudicatezza e il dilettantismo». «Hanno dichiarato guerra alla Ue ragiona il piddino Dario Franceschini, ben introdotto a Bruxelles in funzione elettorale. Ma la Ue li farà schiantare, non gli darà una briciola, proprio per dimostrare che l'opzione sovranista è una bufala. L'unico pericolo è che Salvini, per evitare il capitombolo alla Renzi, vada ad elezioni anticipate prima di scendere nei sondaggi».

La verità è che nessuno si nasconde quanto la partita sia difficile e dall'esito incerto. Tant'è che tra i leghisti cresce l'insofferenza verso i grillini. «I Cinque stelle si sfoga il piemontese Paolo Tiramani non debbono fare gli schizzinosi. Con il condono fiscale tombale arriverebbero 35 miliardi o giù di lì. E risolveremmo i problemi per tutto il triennio. Comunque, lo stanno capendo anche loro, tant'è che si stanno ammorbidendo: i pentastellati non moriranno democristiani, ma neppure integralisti. Anche sulla legge anti-corruzione Bonafede e Fico debbono mettersi l'anima in pace. Il provvedimento va cambiato, altrimenti in aula sarà il Vietnam».

Insomma, anche nella base dei kamikaze i dubbi serpeggiano. Ieri pomeriggio su piazza delle Cinque lune, a due passi dal Senato, un'illustre vittima dello spread del passato, il ministro dell'Economia dell'ultimo governo Berlusconi, Giulio Tremonti, e il consigliere principe del ministro Savona, Antonio Rinaldi, discettavano sul tema. «Lo spread crescerà diceva il primo perché rispetto ai miei tempi non è legato al debito, ma alle banche e ai loro guai: con lo spread perdono valore i titoli nelle mani degli istituti di credito, che sono costretti a ricapitalizzare; non potendo farlo, chiudono il credito alle imprese in una fase economica difficile. Inoltre con la Borsa di Milano che va giù, è più facile che le nostre imprese siano comprate dagli investitori esteri. Il problema di Paolo (Savona, ndr) è che è rimasto agli anni '90». «Rischiamo di diventare un outlet ha annuito Rinaldi -, ma se vincono i sovranisti, l'Europa cambierà». Affermazione che Tremonti ha chiosato con l'ironia di sempre: «Sì, ma i sovranisti tedeschi sono quelli che vogliono metterla in quel posto a noi».

Parole che fanno uscire dalla bocca del consigliere di Savona un'esclamazione, immagine iconica di quanto la situazione sia complicata: «Già, i tedeschi, per non usare un'espressione troppo colorita, i famosi figli di Mater Dei...».

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