Perché dire no ai clandestini non è populismo

Perché dire no ai clandestini non è populismo

N egli anni passati, tutti gli anticomunisti erano tacciati di essere fascisti. Era una mistificazione importante per la propaganda del Pci che poteva presentarsi quale unico, autentico paladino della democrazia. Incredibile ma vero: gli intellettuali italiani accettarono di buttare il cervello all'ammasso e avallarono la più evidente delle menzogne. Questo è il peccato originale che ha condannato la cultura italiana alla mediocrità. È un peccato che stiamo ancora scontando. Il nuovo, assurdo gioco di parole è il seguente: tutti gli avversari dell'immigrazione selvaggia sono populisti (cioè, in ultima analisi, fascisti). Una totale cretinata, molto gettonata in Italia, che verrebbe irrisa non appena giunti a Chiasso. Infatti tra gli avversari dell'immigrazione selvaggia esistono liberali, libertari, conservatori e perfino cattolici. È forse così strano sostenere che per evitare i naufragi sia necessario limitare le partenze?

È segno di grettezza credere che dobbiamo accogliere solo chi ne ha il diritto? È indice di egoismo fare notare che non è bello trattare i clandestini come schiavi da sottopagare? È follia ritenere che l'immigrazione colpisca duramente anche i Paesi di partenza, privandoli delle persone più determinate e in piena età lavorativa? È delirante chiedere di togliere i dazi che gravano come un macigno sull'economia africana? La risposta, chiaramente, è sempre negativa. Esiste una nutrita letteratura a suffragio di chi non crede ai benefici dell'immigrazione sregolata. Purtroppo è tradotta solo in parte in italiano. I nostri editori, infatti, credono che leggano soltanto i perbenisti di sinistra. Comunque ogni tanto, qualche buon titolo scappa alla censura preventiva, terribile perché ormai non dipende dall'ideologia ma solo da un'ignoranza abissale. Partiamo pure dall'Italia e dalle opere di Giovanni Sartori, in particolare Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica. Sartori tirava una bestemmia nella chiesa del conformismo italiano e, dopo avere fatto a brandelli il multiculturalismo, scriveva a chiare lettere che si possono integrare solo gli integrabili: meglio non incoraggiare i musulmani a raggiungere le nostre sponde. Se poi prendiamo l'aereo e andiamo in Inghilterra, all'atterraggio in una libreria di Londra scopriamo subito che il fronte dubbioso (come minimo) sull'esodo verso l'Europa è trasversale e va da laburisti come Paul Collier a conservatori come Roger Scruton o Douglas Murray. La tendenza è ancora più solida in Francia dove i cosiddetti neoreazionari, da Alain Finkielkraut a Éric Zemmour, sono bestselleristi. Infine la parola «populismo».

Non è affatto il sinonimo di «demagogia» come sembra credere il 99 per cento di chi la scrive negli editoriali e la ripete in televisione. Esiste, tra l'altro, un pensiero democratico e populista, specie negli Stati Uniti.

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