Il pugno ai prof dal sindacato

Il pugno ai prof dal sindacato

I vari governi che si sono succeduti alla guida dell'Italia avranno le loro colpe, magari saranno stati pure ladri quando pioveva, ma forse qualche responsabilità ce l'abbiamo anche noi governati, se le cose non funzionano come dovrebbero. Se, per esempio, dall'inizio dell'anno scolastico ben trentacinque professori sono stati aggrediti e picchiati senza che nessun sindacato della scuola mobilitasse le piazze, o almeno proclamasse uno sciopero, ma che dico, una mezza assemblea.

Ieri abbiamo avuto notizia dell'ennesimo episodio di violenza, in un Itis di Roma. Il padre di un ragazzo bocciato si è scagliato contro il preside e, non riuscendo a menarlo come voleva, se l'è presa con un giovane professore di 24 anni che era intervenuto per evitare il pestaggio e che è finito all'ospedale con un trauma cranico. Una settimana fa, in provincia di Padova, era stata una madre a «farsi giustizia», scaraventando giù dalle scale una prof di inglese che si era azzardata a dare un quattro al povero cocco. Eppure, davvero, non abbiamo notizia di mobilitazioni da parte dei sindacati. Abbiamo invece notizia dell'assistenza legale che un sindacato della scuola, il Cub, garantirà alla professoressa di Torino beccata dalle tv mentre, alla testa di un corteo naturalmente pacifista democratico e antifascista, il 22 febbraio scorso ha inveito contro i poliziotti gridando «dovete morire». Per il Cub «il licenziamento è una misura spropositata», e poi - che diamine - «se la professoressa non fosse stata intercettata dai giornalisti il caso non sarebbe mai esistito». C'è da chiedersi come possa, un sindacato, pensare di tutelare un'intera categoria pretendendo che una professoressa indagata per istigazione a delinquere debba restare in classe a indottrinare i nostri figli. C'è da chiedersi come possa, un sindacato, teorizzare che se uno commette un reato ma non è ripreso dalle telecamere abbia il diritto di farla franca.

Ma soprattutto c'è da chiedersi che Paese sia un Paese in cui tutto questo scivola via inosservato e impunito.

Forse è lo stesso Paese in cui padri e madri hanno rinunciato a insegnare ai propri figli il rispetto delle regole, del senso del dovere, dell'autorità e pure degli esseri umani; il Paese in cui non ci si accorge che la vera emergenza non è la classe politica ma l'educazione di un popolo, di cui la classe politica è espressione. Forse è lo stesso Paese che da troppo tempo si indigna contro una casta più immaginaria che reale, dimenticando di guardarsi allo specchio.

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