Remuzzi: "In Italia la fase epidemica è finita"

Secondo Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, l'aumento dei contagiati non rappresenta un problema: "Più ne cerchiamo, più ne troviamo"

Remuzzi: "In Italia la fase epidemica è finita"

In parte per le vacanze estive e in parte per un collettivo allentamento delle norme di distanziamento sociale, in Italia, da qualche settimana, il numero giornaliero di persone infettate dal coronavirus è tornato a salire. Se alcuni esperti continuano a diffondere profezie nefaste, altri, come Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, la pensano diversamente. Nel corso di un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, il professore è stato chiaro: in Italia la fase epidemica sarebbe sostanzialmente finita.

Isteria sui contagi inutile

Certo, molti pazienti (la grande maggioranza) sono asintomatici e pochi sono finiti, in gravi condizioni, in qualche reparto di terapia intensiva. La strada verso il ritorno alla normalità è ancora lunga, eppure si è diffusa un'ansia generale in merito a una possibile recrudescenza del Covid. Torneremo nella stessa situazione di marzo-aprile?

Per quanto riguarda l'autunno, Remuzzi ha affermato che, usando il buon senso (quindi mascherine e distanziamento sociale) e archiviando l'isteria, questa stagione sarà "migliore di quel che molti pensano". Prove confortanti arrivano da uno studio citato dal prof e appena pubblicato su Lancet, secondo il quale, nei primi quindici giorni dello scorso maggio, nella seconda metà del mese e in tutto giugno, non si sia rilevato un eccesso di mortalità. Almeno, non più elevato rispetto all'anno precedente.

"La fase epidemica in Italia è sostanzialmente finita. Il che non vuol dire che non ce ne sarà un’altra, ma che è improprio parlare di seconda ondata", ha dichiarato Remuzzi, spiegando che "ormai siamo entrati nella fase della sorveglianza, che comprende la ricerca accurata dei contatti di persone positive al tampone".

Il fatto che i contagiati siano aumentati non spaventa affatto il professore: "Più ne cerchiamo, piùne troviamo". Detto altrimenti, il numero di positivi non sarebbe una "voce alla quale guardare con paura". Anche perché l'Italia è adesso può contare su test in grado di individuare la presenza di frammenti di Dna virale. "Ma non è detto che appartengano ancora a un virus capace contagiare", ha aggiunto l'esperto.

Saper leggere i dati

"Confondiamo i contagi con la gravità della malattia. Ci spaventiamo per numeri che non significano moltissimo. Indicano solo che abbiamo sviluppato la capacità di entrare nella fase della sorveglianza, e quindi troviamo le cose laddove ci sono", ha aggiunto Remuzzi.

Sui tamponi il professore spinge affinché siano fatti in modo più selettivo. "Non alimentiamo psicosi da tampone", ha sottolineato. Al contrario sarebbe utile effettuarli nei confini, nelle Rsa, all'interno degli ospedali, tra gli insegnanti, tra i lavoratori del trasporto pubblico e così via.

I numeri da guardare, in ogni caso, non sono i nuovi positivi quotidiani. Prendiamo, ad esempio, i posti in terapia intensiva. L'Italia ne ha circa 8mila. "Oggi ne sono occupati per il Covid-19 poco più di cento. Significa che al momento utilizziamo l’1,5% della nostra capacità di cure intensive", ha fatto notare Remuzzi. La Francia sta facendo i conti con una tendenza, 7mila positivi al giorno, che potrebbe presto verificarsi anche in Italia. Ma Parigi, a fronte di dati apparentemente esagerati, ha appena 500 pazienti in terapia intensiva.

"Oggi i dati ci dicono che il rischio di infettarsi è simile a quello di cadere in motorino e minore di quelli che si corrono durante una immersione subacquea. Quarantaquattro probabilità su un milione.

E all’interno di questo dato – ha concluso Remuzzi - una possibilità su cento di morire, e una su cento di avere danni di lungo termine. Stiamo parlando di questo. A febbraio e marzo era ben diverso. Eravamo nel pieno della fase epidemica".

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