Cronache

Covid, curva dei contagi e ricoveri: tutti i dati che non ci dicono

La Fondazione Gimbe soffia sul fuoco: "Preoccupante ascesa". Ma sono dati percentuali. La verità dietro i numeri

Covid, curva dei contagi e ricoveri: tutti i dati che non ci dicono

La notizia del giorno è composta di alcune, drammatiche parole chiave: “forte aumento dei contagi”, “netta crescita delle ospedalizzazioni”, “preoccupante e indiscutibile ascesa”. Visto con gli occhi di chi si fida di tutto ciò che legge, pare che l’Italia del Coronavirus sia vicina al collasso.Ma è davvero così?

Oggi la Fondazione Gimbe, da mesi impegnata a tastare l’andamento dell’epidemia, ha diffuso diligentemente ai media il suo monitoraggio. L’analisi si concentra sulla settimana 26 agosto-1 settembre, confrontandola con i sette giorni precedenti. Abituato a pizzicare le giuste corde dei media, il presidente Nino Cartabellotta ha calcato la mano su alcuni dati in particolare. I nuovi casi sono aumentati del 37,9% (2.477 in più, in totale 9.015), le persone attualmente positive del 52,2% (+ 4.625), i ricoverati con sintomi del 30%, i pazienti in terapia intensiva addirittura del 62% e i decessi del 15% . “In questa settimana – è la sintesi del presidente - si consolida il trend in aumento delle ospedalizzazioni e si impenna quello dei pazienti in terapia intensiva. Si tratta di segnali di ripresa dell’epidemia nel nostro Paese, sia in termini epidemiologici che di manifestazioni cliniche”.

Situazione covid in Italia

Molti non condividono le tesi di Cartabellotta, e lui non ha mancato di inviare una stoccata contro i “cattivi maestri” e le “correnti antiscientiste”. Tutto legittimo. Cioè che appare meno logico, però, è il racconto mediatico di chi utilizza i dati “percentuali” e le letture ad effetto per raccontare la pandemia nel Belpaese. Proviamo a spiegarci. E concentriamoci su quel +62% di pazienti in rianimazione che, letto così, fa spavento. Per quanto l’incremento sembri abnorme, in numeri assoluti parliamo di un centinaio di persone in tutta Italia su 27.817 positivi e circa 60 milioni di abitanti. In una settimana (non in un giorno) i malati in rianimazione sono passati da 66 a 107, appunto +62%. Tanti o pochi? Ai posteri l’ardua sentenza. Di sicuro sono molti meno che nella fase più drammatica dell’epidemia. Il giorno in cui il premier Conte dava il via alle Fase 2, il 4 maggio, in terapia intensiva c’erano 1.479 persone. Più di 13 volte il dato odierno. E allora il sentimento comune era pure positivo, visto che solo un mese prima (il 3 aprile) i malati attaccati a un tubo erano addiruttura 4.068. Se è vero dunque che nell’ultima settimana si è registrato un incremento percentuale dei ricoveri intensivi, va però detto che i numeri assoluti sono per ora contenuti.

Lo stesso discorso vale per i ricoverati con sintomi: gli attuali 1.380 (con lo "spaventoso" +30% rispetto alla scorsa settimana) sono più del minimo toccato il 1° agosto, quando erano 705, ma sono ben lontani dal massimo di 29.010 raggiunto il 4 aprile. Idem per i morti, ora arrivati a quota 46. Innanzitutto va detto che si tratta di un dato settimanale, visto che ieri sono andate all'altro mondo 6 persone e due giorni fa 8. E soprattutto va ricordato che nel pieno della crisi aumentavano di 800-900 unità al dì. Il giorno dopo la riapertura del 18 maggio, per dire, ne morirono 162 (qui tutti i dati). Eppure tutti gioivano alla tornata normalità.

PERCENTUALE DI CASI DI COVID-19 DIAGNOSTICATI IN ITALIA PER STATO CLINICO AL MOMENTO DELLA DIAGNOSI E SETTIMANA DI DIAGNOSI

Per capire ancora meglio, possono aiutare due grafici, infilati nell’ultimo report di monitoraggio dell’Iss. Il primo (qui sopra) l’Istituto lo spiega così: “Mentre nelle prime settimane dell’epidemia tra i casi diagnosticati c’era una maggiore percentuale di casi severi, critici e di casi già deceduti al momento della diagnosi (diagnosticati mediante tamponi effettuati post-mortem), con il passare del tempo, si evidenzia, in percentuale, un netto incremento dei casi asintomatici o paucisintomatici e una marcata riduzione dei casi severi e dei decessi”. Certo: il motivo potrebbe essere dovuto al fatto che a marzo la maggior parte delle persone risultate positive veniva sottoposta a tampone proprio perché malata. Quindi è logico che la percentuale di quelle gravi fosse alta: i test rilevavano solo i casi critici o comunque sintomatici, senza riuscire a scovare chi non aveva neppure la febbre. Tuttavia, il secondo grafico (guarda qui sotto) ci conferma che, al di là delle percentuali, anche in numero assoluto le terapie intensive, i ricoveri e gli isolamenti domiciliari sono ben lontani dai livelli del passato. E soprattutto, come ha detto Massimo Antonelli, direttore del dipartimento Anestesia e Rianimazione del Policlinico Gemelli, tra gli intubati "i casi severi sono la minoranza".

NUMERO TOTALE DI CASI DI COVID-19 (ESCLUSI GUARITI E DECEDUTI) DIAGNOSTICATI IN ITALIA PER STATO DI RICOVERO/ISOLAMENTO E NUMERO CUMULATIVO DELL’ESITO (N=261.174) AL 25/08/2020 (FONTE DATI MINISTERO DELLA SALUTE E PROTEZIONE CIVILE).

Per valutare il pericolo occorre infine osservare il rischio di saturazione ospedaliera, che tanto ha spaventato le autorità negli scorsi mesi. Il ministero della Salute lo scorso 30 aprile ha stilato alcuni indicatori per monitorare l'epidemia nel Belpaese. Per quanto riguarda la “tenuta dei servizi sanitari” vengono considerati due criteri: il tasso di occupazione dei posti in terapia intensiva (considerato a rischio “sovraccarico” quando supera il 30%); e il tasso di occupazione dei posti letto in alcune "Aree mediche" (che non deve essere maggiore del 40%). A che punto siamo oggi? Vittorio Nicoletta, studente di dottorato alll'Université Laval del Quebec, in Canada, ogni giorno segue questi due indicatori (vedi qui). Risulta che il tasso nazionale di occupazione delle rianimazioni sia appena del 2,06% e quello delle Aree mediche al 3,79%. Per quanto ci siano significative variazioni regionali, nessuna zona del Paese al momento si avvicina alle quote limite.

Un discorso simile si potrebbe fare analizzando l’attenzione data dalla Fondazione Gimbe all’incremento dei “nuovi casi” e delle persone attualmente positive, ma ci torneremo più avanti. Meglio non mettere troppa carne al fuoco. Per ora ci accontenteremo di un ultimo ragionamento: per quanto l’epidemia continui a circolare, e dunque vada tenuta costantemente a bada, non siamo ancora in balia di una tempesta. La crescita delle terapie intensive va monitorata, molto più di quanto non si faccia normalmente coi nuovi contagi. Ma se minimizzare il rischio è pericoloso, allo stesso modo è sbagliato fomentare troppo l’allarme.

In medio stat virtus.

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