Salvare la Terra, ultima utopia dei millennials

Salvare la Terra, ultima utopia dei millennials

Nel nome della Terra. Sono tanti e sparsi in quasi tutti gli angoli del mondo, vestiti di verde o di giallo. Si sono ritrovati in cinquemila città e i primi a svegliarsi sono stati quelli del Pacifico: Vanuatu, poi le isole Salomone, poi nella repubblica delle Kiribati e via via così, seguendo il corso del sole, dall'Australia a Bangkok, dove c'è Lilly Satidtanasarn, dodici anni, la Greta di Thailandia, e ancora nella vecchia Europa, passando per la Berlino di Carola Rackete. La piazza finale è New York, ancora il centro del centro del mondo, la città delle mille luci, dove non si dorme mai e si consuma sempre. Qui sono più di un milione e tra questi c'è la sacerdotessa di Gea, Greta Thunberg. È il giorno del Global Climate Strike e chi non sciopera è fuori moda. Battono i tamburi e si alzano le bandiere. Pentitevi per i vostri peccati. Non c'è più tempo, perché il tempo l'avete sprecato. Non c'è futuro. La Terra sta morendo e gli assassini siete voi. L'atto di accusa non risparmia nessuno: padri e madri, nonni, nonne, zie e bisnonni, i morti e i vivi, i vecchi e gli indifferenti, i potenti e i miserabili, i ladri di risorse e gli speculatori, ignavi, cinici, divoratori e quelli che tirano a campare. Nous sommes tous des assassins. Tutti con la faccia disillusa e aperta ai dubbi di un Jean Gabin. Peggio. Tutti come Erode. Tutti come Crono, il maledetto tempo, figlio di Urano, il cielo, e per l'appunto di Gea, la terra. Crono, il divoratore di eredi. Come dice Greta: «Voi non avete più scuse e noi abbiamo poco tempo».

Non c'è dubbio, la questione ambientale non può essere ignorata. Avvelenare la natura per pigrizia e ignoranza è folle. Non saranno però le ossessioni alla Savonarola a salvarci. Non ci salva neppure l'utopia. Le utopie accendono fuochi. Sono un segnale e servono a cambiare lo spirito del tempo. Ti avvertono e questo è un bene, ma se lo applichi alla lettera quell'incendio di sogni, speranze, giustizia e di mondi perfetti e assoluti finisce per incarnare l'inferno. È la famosa strada lastricata di buone intenzioni. I vecchi lo sanno, i giovani no. Ora «salvare la terra» è la grande utopia di questa stagione. È qualcosa in cui credere, per cui combattere, con la speranza di lasciare una traccia nel tempo, con la rabbia di chi non si riconosce nel volto dei padri: stanchi, disillusi, incancreniti sulla strada dei sogni caduti. Se hai vent'anni non puoi sentirti inutile e rassegnato. Ogni gioventù ha la sua battaglia da combattere, qualcuna peggiore di altre, ognuna con il suo marchio di fabbrica. I giovani che adesso hanno quarant'anni hanno (...)

(...) fatto meno rumore, ma alla fine del vecchio secolo erano ossessionati dal lavoro, dal trovare un posto, uno spazio, in un mondo che si era improvvisamente ristretto, con l'angoscia di sentirsi smarriti, senza punti di riferimento, perché tutto intorno a loro stava cambiando e il navigatore satellitare del Novecento non serviva neppure per uscire di casa. Tutti sospesi tra un posto fisso in via d'estinzione e una flessibilità senza paracadute, da sperimentare sulla propria pelle.

Gli adolescenti degli anni '80 erano in fuga dagli anni di piombo. Neppure loro avevano grandi punti di riferimento e si rifugiavano nell'io. La loro bandiera era la libertà dell'individuo. Sono stati i pionieri della rivoluzione virtuale, con un computer a casa che andava alla velocità di un criceto ubriaco, ma abbastanza sovrumano da farti sognare il futuro. Una generazione cresciuta con la guerra fredda e l'incubo della guerra nucleare, con i film che ti malauguravano un domani da «day after». La terra non sarebbe morta di rifiuti, ma per la follia radioattiva di un dottor Stranamore. Non è un caso che alcuni di loro sono scesi in piazza nel nome della pace o, più pragmatici, si sono messi a sognare il futuro alternativo della Silicon Valley. Il modo più furbo per realizzare l'anarchia è fare i soldi. Prima libera te stesso. Tutta gente che comunque sognava un domani migliore.

I giovani del '68 e dintorni la gioventù l'hanno resa eterna. Vietato invecchiare. Non a caso si sono presi tutto. Hanno sognato la fantasia al potere e si sono presi il potere senza troppa fantasia. Nel frattempo si sono fatti la guerra, vestiti di rosso e di nero. I rossi erano di più e giocavano alla rivoluzione, con il libretto rosso di Mao, con la guerriglia, con Che Guevara e contro le multinazionali. Quando è caduto il Muro in pochi hanno davvero pianto la fine del comunismo. Si sono limitati ad archiviare tutto come un errore della storia. Non era sbagliato il sogno, ma come si era radicato in terra. Il risultato è che i coetanei di Greta sono tornati a sognare lo stesso sogno di allora. E adesso ti dicono, con il candore sulla faccia: «L'individuo è pericoloso. La nostra missione è salvare questo pianeta malato a qualsiasi costo». La libertà è inquinante.

I ragazzi degli anni '50 non sono stati giovani a lungo. C'erano paesi da ricostruire dopo le macerie. L'utopia era la casa, la famiglia un lavoro e la benedetta pensione.

I più ribelli si mettevano i giubbotti da Fronte del porto o Gioventù bruciata. Quasi nessuno si lamentava della democrazia.

Tutti bene o male hanno fatto i conti con la propria utopia. Il mondo ogni volta è cambiato, caracollando verso la prossima apocalisse e spostando la notte più in là. Perfino quelli che l'apocalisse l'hanno vista da molto vicino sono stati giovani e sognatori. Erano usciti dalle trincee, sopravvissuti alla morte. Erano pazzi di futurismo e velocità.

Volevano il secolo breve e cantavano Giovinezza.

Vittorio Macioce

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