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Salvini: niente voto. E guarda al centro

Salvini: niente voto. E guarda al centro

È ormai da qualche settimana che Matteo Salvini non mostra più l'ottimismo dei mesi passati sull'eventualità che davvero - e a breve - si torni al voto. Le certezze agostane e poi le convinzioni di inizio autunno si sono andate via via dissolvendo davanti alla tenuta di un governo che, per quanto sia costantemente in fibrillazione, non sembra però già arrivato a fine corsa. «L'unica variabile incontrollabile è il voto in Emilia Romagna», rifletteva qualche giorno fa il leader della Lega davanti a Giancarlo Giorgetti e altri parlamentari. Già, perché una sconfitta del Pd nella regione rossa per antonomasia potrebbe sì aprire scenari imprevedibili e, forse, anche incontrollabili, al di là delle reali volontà dei vertici dem. Il punto, però, è che gli ultimi sondaggi arrivati sulla scrivania di Salvini vedono il presidente uscente Stefano Bonaccini ancora davanti alla leghista Lucia Borgonzoni, con uno scarto considerato «consistente». E difficilmente recuperabile di qui al 26 gennaio.

Così pure Salvini, che solo pochi mesi fa dava per certe le elezioni anticipate, ora ha iniziato a ragionare su una prospettiva di più lungo periodo. Nella quale l'ex ministro dell'Interno sembra essersi convinto di dover in qualche modo scrollarsi di dosso l'abito del sovranista agguerrito e proporsi come leader affidabile in grado di rappresentare tutta l'area di centrodestra. Meno piazze, dunque, e un aplomb più istituzionale. Di qui la scelta di lanciare l'idea di un «comitato di salvezza nazionale» che metta insieme tutti i partiti facendogli «deporre le armi» così da affrontare «le cinque priorità del Paese». Proposta, come era prevedibile, caduta nel vuoto. Ma che rappresenta una decisa inversione di rotta rispetto al Salvini che nelle piazze inneggiava ai porti chiusi e picchiava su Bruxelles e l'Unione europea. Invece il tema immigrazione non è più il principale cavallo di battaglia della Lega e nei giorni in cui si è puntato il dito contro il Mes tutti i leghisti hanno avuto la cautela di non attaccare di petto le istituzioni europee in quanto tali. Insomma, niente più ruspa. Esattamente come ieri, quando Salvini ha fatto sapere che sulla manovra - che il 22 dicembre arriverà alla Camera blindata - la Lega farà ricorso alla Corte Costituzionale. Proprio la stessa cosa che fece lo scorso anno il Pd, adducendo peraltro le stesse valide ragioni di Salvini.

Insomma, il leader della Lega sembra voler iniziare a muoversi con destrezza non solo nelle piazze ma anche nei Palazzi. Non è un caso che da qualche mese si sia messo in contatto con alcune «vecchie glorie» della politica in cerca di consigli. Ha sentito l'ex presidente del Senato Marcello Pera, che ha anche ascoltato seduto in prima fila al convegno Idee per l'Europa che si è tenuto a Roma a inizio dicembre. E ha avuto contatti anche con Giuliano Urbani, uno dei fondatori di Forza Italia e due volte ministro nei governi Berlusconi. D'altra parte, se davvero la marcia verso le urne è destinata ad essere lunga, è del tutto evidente che questo è il momento di mettere un freno per evitare da una parte un'eccessiva sovraesposizione e dall'altra di compattare un fronte anti-Salvini (che poi, in parte, è quello che è successo con il fenomeno delle Sardine). Ci sta, dunque, che in questa prospettiva il leader della Lega abbia deciso di provare ad aprire un canale con il Quirinale, con cui i rapporti sono stati sempre di alti e bassi e spesso «mediati». Circostanza piuttosto inusuale per un vicepremier che è stato pure ministro degli Interni. D'altra parte, non c'è dubbio che nei giorni caldi della crisi agostana la difficoltà di relazionarsi con il Colle non abbia aiutato Salvini a capire cosa gli stava succedendo intorno.

Certo, il punto è se e quanto durerà la svolta istituzionale del leader della Lega. Che oggi non dice più di voler uscire dall'euro e si guarda bene dal baciare il crocifisso nelle piazze, circostanza che non ha suscitato grandi entusiasmi Oltretevere.

Una correzione di rotta che guarda al Centro, nel tentativo di proporsi come leader credibile di tutta l'area di centrodestra.

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