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Se il Pd cerca il rimpasto in stile Papeete

Un anno fa fu Matteo Salvini a regalarci la più incredibile e scellerata delle crisi agostane. Oggi, esattamente dodici mesi dopo, giusto per provare a non essere da meno, ci pensa il Pd ad ipotizzare uno scenario in perfetto stile Papeete.

Se il Pd cerca il rimpasto in stile Papeete

Un anno fa fu Matteo Salvini a regalarci la più incredibile e scellerata delle crisi agostane. Oggi, esattamente dodici mesi dopo, giusto per provare a non essere da meno, ci pensa il Pd ad ipotizzare uno scenario in perfetto stile Papeete.

Il tema non è la crisi di governo, certo. E, dunque, lo strappo improvviso che portò il leader della Lega a mettere fine al Conte 1 resterà saldamente nel guinness dei primati delle mosse politiche più sciagurate. Ma anche arrivare a ipotizzare un rimpasto di governo in piena estate come stanno facendo in queste ore i vertici di Largo del Nazareno non è proprio cosa da tutti i giorni. Soprattutto considerando che il 20 settembre - cioè tra esattamente 44 giorni - si terranno sia le elezioni regionali che il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Due appuntamenti che potrebbero ridisegnare gli equilibri all'interno dell'esecutivo. Insomma, pensare di cambiare ora la squadra di governo - seppure con l'obiettivo di rafforzarla in vista del probabile scossone che arriverà dalle urne - appare davvero una scelta ai limiti della disperazione. Soprattutto considerando una tempistica quanto mai stretta e il fatto che siamo ormai in pieno agosto.

Eppure, tanto è l'affanno del Pd che - seppure fra le smentite di tutti i protagonisti - lo scenario in questione è stato davvero valutato. Persino tirando dentro - sempre dalle parti del Nazareno - il nome di Luciana Lamorgese, l'attuale ministro dell'Interno. Che sia Nicola Zingaretti o Andrea Orlando il dem destinato a «rafforzare il profilo politico» del Conte 2, infatti, la pazza idea vorrebbe che a fare il passo indietro possa essere proprio la titolare del Viminale che non è in quota a nessun partito. Ma che, è cosa nota, ha un canale privilegiato con il Quirinale, circostanza che in qualche modo finirebbe per lambire il Colle se davvero questo squinternato proposito di rimpasto dovesse prendere forma. Non è un caso che, appena filtrata la notizia, Zingaretti si sia affrettato a chiamare Lamorgese per rinnovarle la sua stima e silenziare i rumors.

Alla fine, dunque, è altamente probabile che non ci sia alcun rimpasto, perché sarebbe davvero difficile da spiegare al Paese una simile operazione di Palazzo in piena estate o inizio settembre, con ben altre priorità - crisi economica in testa - e con due consultazioni elettorali alle porte (possibile, invece, che si faccia proprio dopo regionali e referendum). Ma il solo fatto che il tema sia oggetto di confronto - non solo dentro il Pd, ma anche con gli alleati di Italia viva e M5s - la dice lunga sulle condizioni di una maggioranza che sempre più sembra navigare a vista. E che, giorno dopo giorno, soffre un Giuseppe Conte che in questi due anni a Palazzo Chigi ha imparato alla perfezione l'arte dello slalom speciale tra i paletti che gli piazzano sulla strada i partiti che lo sostengono.

Una reazione piuttosto scomposta, quella di Zingaretti e dei suoi. Soprattutto in considerazione del fatto che sono mesi e mesi che il premier ha trovato una sua autonomia d'azione che prima, nel Conte 1, non aveva neanche lontanamente. Evidentemente, l'imminenza del referendum sul taglio dei parlamentari deve avere portato come d'incanto tutti i nodi al pettine. Il Pd, infatti, votò il taglio solo in quarta lettura (dopo tre «no» convinti) e solo come tributo alla nascita del Conte 2. In questi mesi, però, non si è vista traccia né dei correttivi promessi dal premier, né della legge elettorale proporzionale che mitigherebbe gli effetti della riforma. E così il Pd ha finalmente preso coscienza del fatto che il referendum rischia di essere un gigantesco boomerang. Non solo perché sarà difficile spiegare all'elettorato dem come votare il 20 settembre, ma anche perché, se dovesse passare (come è altamente probabile), il M5s potrebbe tornare a sventolare una delle sue battaglie populiste a cui tiene di più. Con buona pace del Pd, che potrebbe finire schiacciato nella morsa referendum-regionali. Al momento, infatti, i sondaggi dicono che i dem rischiano seriamente di perdere la Puglia e le «rosse» Marche.

Mentre in Toscana i punti di vantaggio si sarebbero ridotti solo a 4-5.

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