Tre tornate amministrative che in soli 45 giorni coinvolgono oltre tre milioni e mezzo di italiani iniziano a essere un punto d'osservazione statisticamente rilevante. Abruzzo, Sardegna e Basilicata, infatti, rappresentano un campione del 5% su scala nazionale. E dicono che le elezioni europee del 26 maggio sono destinate a essere - in un modo o nell'altro - un passaggio chiave per i destini della maggioranza che sostiene il governo guidato da Giuseppe Conte. E forse anche per il futuro del centrodestra.
Il voto in Basilicata, infatti, ha confermato che la forbice tra M5s e Lega si va inesorabilmente ad allargare, con buona pace delle rivendicazioni di Luigi Di Maio. È vero, come dice il vicepremier grillino, che i Cinque stelle sono il primo partito della regione con il 20,3%. È pure indiscutibile, però, che rispetto alle politiche di un anno fa - quando in Basilicata presero un incredibile 44,4% - il Movimento ha più che dimezzato i voti perdendo quasi sei elettori su dieci. Da parte sua, Matteo Salvini continua ad andare all'incasso e seppure con numeri forse sotto le attese (la Lega si è fermata al 19,1% ma le aspettative erano di andare sopra il 20) è sempre più il traino della coalizione di centrodestra. Basti pensare che in Basilicata, alle politiche di un anno fa, il Carroccio prese il 6,2%, quasi un terzo di domenica scorsa. Senza contare che per il Carroccio siamo davanti al migliore risultato di sempre in una regione del Sud, uno scenario che solo otto-dieci mesi fa era impensabile. Un successo tutto di Salvini che, a dispetto delle perplessità di parte del suo partito e di quasi tutti gli osservatori della politica, è riuscito nell'impresa di «nazionalizzare» la Lega. Si va cristallizzando, dunque, uno scenario nel quale gli equilibri all'interno della maggioranza gialloverde sono sempre più ribaltati rispetto ai numeri in Parlamento e sbilanciati a favore della Lega. Ancora ieri il ministro dell'Interno ha ripetuto che il suo «orizzonte» è di quattro anni e che non «andrà all'incasso». Nonostante le rassicurazioni pubbliche, è inevitabile che la scadenza delle europee del 26 maggio possa diventare il punto di caduta di un'alleanza sempre più instabile. Anche se, va detto, i destini del governo sono sempre più nelle mani del leader della Lega, visto che il crollo inesorabile del M5s mette di fatto Di Maio con le spalle al muro. Il vicepremier grillino - e così tutti i suoi parlamentari - faranno infatti l'impossibile pur di non far saltare l'esecutivo, visto che nel caso di elezioni anticipate la maggior parte di loro è destinata a non tornare in Parlamento. Insomma, se Salvini è deciso a tirare la corda della maggioranza - già ieri lui e il governatore del Veneto Luca Zaia hanno rilanciato il tema dell'autonomia da incardinare in Parlamento prima delle europee - Di Maio è pronto a mandarle giù tutte pur di restare aggrappato a Palazzo Chigi (e alla leadership del Movimento).
Un'altra partita - per certi versi speculare - Salvini la gioca sul fronte del centrodestra. Non è una novità ed è pure legittimo che il vicepremier leghista stia cercando di egemonizzare la coalizione e spostarla in blocco sul terreno del sovranismo. Va in questo senso lo spartito che sta seguendo Giorgia Meloni che con Giovanni Toti ragiona da tempo su un soggetto politico nuovo che possa muoversi in tandem con la Lega. Non è un caso che in privato Salvini non nasconda di avere più di qualche aspettativa su questo progetto che, se partisse con numeri promettenti, gli permetterebbe di mettere all'angolo Forza Italia. Ecco perché ieri Mara Carfagna non ha esitato a polemizzare direttamente con Toti invitandolo a «smetterla di fare copia-incolla delle posizioni della Lega» e concentrarsi «sul rilancio di Forza Italia». Che, nonostante il deludente 9,1% in Basilicata, non ha comunque avuto il calo che il leader della Lega sperava. Peraltro, Silvio Berlusconi può rivendicare la vittoria di Vito Bardi come un suo successo, visto che è stato proprio lui a volere fortemente la sua candidatura nonostante le perplessità degli alleati. Per capire che fine farà il centrodestra, però, diventa a questo punto decisiva la partita del Piemonte. Per la regione si voterà il 26 maggio (con le europee) e avere il candidato governatore potrebbe essere decisivo anche per l'effetto «traino». Ecco perché nonostante ci fosse già un'intesa sull'azzurro Alberto Cirio la Lega sta temporeggiando da settimane cercando di piazzare il civico Paolo Damilano. Il Piemonte, infatti, vale quasi quattro milioni e mezzo di abitanti (ben più di Abruzzo, Sardegna e Basilicata messe insieme) e il centrodestra è dato al momento in vantaggio. Gli equilibri che usciranno in regione, dunque, possono essere determinanti nella partita complessiva che si sta giocando da mesi all'interno del coalizione. Se Salvini portasse a casa candidato e vittoria, potrebbe finalmente completare l'opa sovranista sul centrodestra. Se a correre fosse l'azzurro Cirio, invece, Forza Italia avrebbe decisamente più possibilità di reggere al tentativo di spallata. Ecco perché ieri sul punto è sceso in campo prima il coordinatore regionale azzurro Paolo Zangrillo e poi il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.
«La presidenza del Piemonte spetta a Forza Italia. Abbiamo sottoscritto un accordo con Giorgetti e la Lega rispetterà questo patto», ha spiegato in una sorta di aut aut a Salvini. La conferma che i futuri equilibri della coalizione passano anche dal Piemonte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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