Si è aperta una breccia: diventerà un baratro

Si è aperta una breccia: diventerà un baratro

La breccia è aperta. Anche l'Italia ha la sua eutanasia. Certo, ci sono paletti, distinguo e raccomandazioni, ma la svolta è arrivata. La Corte costituzionale, imbeccata a suo tempo dai giudici di Milano, arriva dove il Parlamento non aveva avuto il coraggio di spingersi: l'articolo 580 del codice, lo scudo messo dal legislatore a tutela delle nostre fragili esistenze, ancora di più in una società che invecchia paurosamente e ammalata di solitudine, viene bucato dalla Consulta e buttato come un ferrovecchio. Non sempre e solo a certe condizioni, ma sentenze come questa, epocali, non vanno lette solo con gli occhiali raffinati della scienza giuridica, ma per le traiettorie che disegnano. L'Italia scavalca gran parte dei paesi europei e corre verso il modello olandese. In un reportage agghiacciante, pubblicato ieri su Avvenire, Assuntina Morresi raccontava come nel paese dei tulipani il 4,4 per cento dei decessi siano morti per eutanasia. E scorrendo le storie di un'anziana cardiopatica e di una giovane anoressica ci si chiede, con la più retorica delle domande, se siano tutti casi insostenibili, irreversibili, intollerabili come si affannano a chiarire costituzionalisti e studiosi. E come ora specifica la Consulta, provando a mettere un argine dopo aver tolto i mattoni dalla diga.

Gli esperti faranno le loro dotte valutazioni. Ed entreranno nelle pieghe del ragionamento seguito dalla Corte. Ma la sostanza pare chiara: l'aiuto al suicidio, che è parente stretto dell'eutanasia, in certe situazioni non è più punibile. Insomma, non è più reato. Questo significa che i giudici di Milano, che avevano scientificamente costruito il caso, ora potranno chiuderlo, dopo un anno di colpevole inerzia del Parlamento, con una quasi scontata assoluzione del leader radicale.

Si entra in un mondo nuovo dove prima o poi la precarietà e la fatica di vivere, che spesso trovano casa dentro vecchiaie interminabili ma qualche volta fanno appassire anche giovani esistenze, troveranno una qualche regolamentazione dentro il Sistema sanitario nazionale. E una cornice normativa realizzata dal Parlamento, come ora richiesto a gran voce dalla stessa Consulta che non vuole portare da sola il peso di questa scelta.

Si parla sempre di bilanciamento dei beni protetti dalla Costituzione, ma si dovrebbe aggiungere che esiste anche una scala gerarchica che vede, o dovrebbe vedere, al primo posto il diritto alla vita. È la linea seguita, ormai in perfetta solitudine, dalla Cei: il cardinale Bassetti aveva proposto di differenziare e mitigare le pene per l'aiuto al suicidio. Abbassare l'asticella, in una società complessa se non complicata e in cui la scienza ci porta in contesti sempre più estremi e problematici, ma Camera e Senato non hanno fatto nemmeno un passo e si sono persi in mille battaglie senza arrivare a una sintesi.

Molti oggi scriveranno che questa è una vittoria del buonsenso, della razionalità e dell'equilibrio in un Paese laico e pluralista che rispetta la libertà delle persone. Purtroppo sappiamo che non è cosi: inizia una discesa che non sappiamo fin dove ci porterà.

Due anni fa la legge sul biotestamento, figlia anche della vicenda di Eluana Englaro, aveva introdotto l'eutanasia passiva utilizzando un escamotage perfido: equiparare nutrizione e idratazione artificiali a trattamenti medici. Che, come tali, possono essere revocati. E abbandonando quindi i pazienti incoscienti alla morte di fame e di sete. Ora si accelera sulla via dell'eutanasia attiva, anche se il Comitato nazionale di bioetica sostiene, in un parere di luglio, che il suicidio assistito è un'altra cosa.

Il caso terribile e umanamente insondabile di Dj Fabo

ha fatto scuola, anche se altre storie di segno diametralmente opposto ci hanno fatto capire che la vita e l'amore possono prevalere sul dolore e la disperazione. Anche alle frontiere più inospitali della condizione umana.

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