Ancora non ha tenuto a battesimo il suo governo e già Giuseppe Conte pensa ad aprire le liste di reclutamento. I numeri, in verità, sono solidi. Non solo alla Camera, dove il margine è anche più ampio, ma pure al Senato, dove ieri l'esecutivo ha superato la prova della fiducia con 171 sì, 117 no e 25 astenuti. Eppure, il presidente del Consiglio ci tiene a mettersi avanti con il lavoro che verrà. E nella parte finale dei suoi 71 minuti di intervento si dice disponibile a «valutare in corso d'opera l'apporto di gruppi parlamentari che vorranno condividere il nostro cammino e il contratto di governo». Insomma, porte aperte a tutti.
D'altra parte, i numeri di Palazzo Madama non preoccupano ma la storia insegna che la prudenza non è mai troppa. Sommando contrari e astenuti si arriva 142 voti, 29 in meno rispetto ai 171 che ieri hanno votato la fiducia. Ma con ancora da assegnare 43 poltrone tra viceministri e sottosegretari e 28 presidenze di Commissione. Il rischio, per capirci, potrebbe essere quello di ritrovarsi in una situazione meno granitica di adesso, con molti senatori impegnati sul fronte governo e il day by day affidato a numeri più fragili. Un'iniezione di senatori, dunque, contribuirebbe non poco a rasserenare gli animi. Un'operazione che secondo molti sarebbe già in fase avanzata, altrimenti - fanno notare dall'entourage dei M5s - non sarebbero stati arruolati nella squadra dei ministri ben sei senatori. E pronti ad imbarcarsi sul treno che corre verso il cosiddetto «governo del cambiamento» ci sarebbe la pattuglia dei 18 senatori di Fratelli d'Italia, partito che nelle ultime due settimane ha fatto il possibile per farsi accogliere nel salotto buono dell'esecutivo (compreso lanciare la bizzarra idea di un'improbabile richiesta di impeachment per Sergio Mattarella). D'altra parte, FdI si ritrova nella scomodissima posizione di avere i sovranisti e gli euroscettici al governo e di essere però «costretta» all'opposizione insieme a Forza Italia e Pd. «Il nuovo e i giovani sono da una parte - si è sfogata qualche giorno fa in privato Giorgia Meloni - e noi siamo rimasti schiacciati dall'altra parte insieme a Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Un vero disastro!». Così, non è un caso che Ignazio La Russa non chiuda la porta e si limiti a un enigmatico «vedremo cosa succederà». A differenza di un Fabio Rampelli che pare non abbia granché gradito il trattamento riservato al suo partito da Matteo Salvini in queste ultime settimane. «Conte non ha neppure chiuso il governo e già pensa al rimpasto?», chiede ironico in Transatlantico, ben consapevole che i continui rumors su una presunta disponibilità ad entrare nel governo non stanno giovando affatto a Fratelli d'Italia.
Alla fine, dunque, votano a favore del governo i 109 senatori del M5s, i 58 della Lega, i 2 eletti all'estero del Maie Riccardo Antonio Merlo e Adriano Cario e i 2 ex grillini Maurizio Buccarella e Carlo Martelli. Sono quattro voti in più della maggioranza, come da previsioni della vigilia. Le file di chi sostiene l'esecutivo sembrano però destinate ad ingrossarsi.
Sul tavolo, infatti, non c'è solo la partita delle poltrone di sottogoverno - viceministri e sottosegretari - ma anche quella delle circa 350 nomine degli enti di Stato e della Rai che verranno concluse solo dopo che Conte rientrerà dal G7 in programma l'8 e il 9 giugno. Tutti posti che fanno gola e per i quali si può anche decidere di rivedere un eventuale voto contrario o, ancora meglio, un'astensione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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