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Quando la sinistra Toscana paragonava l'infibulazione ai piercing

Quella battaglia della parlamentare leghista per la legge contro l'infibulazione, una lotta contro i circoli intellettuali che sostenevano "bisogna accogliere le tradizioni altrui nello spirito del multiculturalismo"

Quando la sinistra Toscana paragonava l'infibulazione ai piercing

Era il 2004 quando Omar Abdulkamir, un ginecologo di origini somale, sponsorizzò una nuova proposta alternativa all’escissione dei genitali femminili. Per non far male alle bambine, ma rispettando la tradizione, il ginecologo aveva inventato questo nuovo tipo di "tortura", chiamata "infibulazione soft", che consisteva, sostanzialmente, nell’eseguire una puntura sul clitoride delle giovani ragazze alle quali doveva fuoriuscire del sangue. Un’operazione che, a parlarne, sembra di tornare indietro anni luce, nei villaggi africani, tra rituali e capanne fatte a mano. E invece no, tutto questo accadeva solo 15 anni fa, in Italia, a Firenze, nel Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili dove lavorava il medico somalo.

E se questo già potrebbe lasciare allibiti. Il meglio ha ancora da venire. Perché la proposta non sconcertò affatto alcuni intellettuali della sinistra, che assecondarono la decisione del medico africano considerandola una proposta che soddisfaceva il principio multiculturale di accoglienza delle tradizioni altrui.

Persino Enrico Rossi, che ai tempi ricopriva il ruolo di assessore regionale, non prese la notizia come una priorità. Tanto che, passò il caso al Comitato di bioetica e all’Ordine dei medici. Il primo, si disse favorevole alla proposta del ginecologo somalo persino dopo che la trovata era stata bocciata dalle associazioni di donne immigrate in Toscana.

Fu così che la questione arrivò persino in parlamento. Dove destra e sinistra si scontrarono aspramente sul tema. A sollevare il caso fu la leghista Carolina Lussana, relatrice a Montecitorio della proposta di legge contro le mutilazioni sessuali. La parlamentare accusò l’assessorato alla salute della regione Toscana di "sostenere un progetto che permette di eludere le sanzioni penali previste dalla legge per chi si macchia di reati del genere", come ricorda La Verità.

La risposta dell’amministrazione toscana fu a dir poco scioccante. Con Rossi che paragonò l’infibulazione soft ai piercing degli adolescenti. "I tecnici che hanno formulato la proposta affermano che non si tratta di una mutilazione e che sarebbe sostanzialmente indolore. Alcuni dicono che non può considerarsi una pratica sanitaria così come, d’altra parte, non lo sono i piercing o i tatuaggi a cui molti ragazzi, anche minorenni, si sottopongono con il consenso o addirittura accompagnati dai genitori. È più invasiva, mi sembra, la circoncisione rituale praticata negli ospedali, e non solo in Toscana, a carico del Servizio sanitario nazionale", esordì l’assessore.

Nella votazione per la legge contro l’infibulazione il dibattito fu lungo ed estenuante con uno scontro aperto tra maggioranza e opposizione. Ma poi, le parti si trovarono d’accordo gli unici ad astenersi furono i senatori di Rifondazione comunista assieme alla parlamentare della Margherita Cinzia Dato, che affermò che "prima di approvare una legge così repressiva, dovremmo mettere fuori legge il ricorso alle pratiche di chirurgia estetica per le minorenni. Anche in questo caso si tratta di imposizioni violente provenienti da vincoli culturali".

Ora Carolina Lussana ricorda quella battaglia vinta: "La legge fu una vera rivoluzione anche perché puniva chi andava a farsi praticare l’infibulazione nel Paese di origine. Non fu facile farla approvare. Contro di noi si era schierata tutta l’intellighenzia del multiculturalismo.

Peccato che ora nessuno se ne ricordi".

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