Sono 600mila gli italiani che accusano cuore-stanco

Senso di debolezza o difficoltà di respiro, dopo uno sforzo fisico. Non sempre sono segni dell'età che avanza. Possono essere sintomi iniziali di un cuore che non riesce a pompare, abbastanza sangue nell'organismo. Ovvero, di scompenso cardiaco. Una condizione patologica con un'incidenza in crescita, per via degli stili di vita, dell'aumentata sopravvivenza dopo un infarto e dell'invecchiamento della popolazione. In Italia colpisce oltre 600mila persone, con 500 ricoveri ogni giorno e 170mila nuovi casi ogni anno. Il 30% dei pazienti muore a un anno dalla diagnosi. Il 50% non sopravvive oltre i 5 anni. Contro questa patologia, l'Italia si mobilita. E lo fa partecipando alle Giornate europee dello scompenso cardiaco, promosse dalla Società Europea di Cardiologia (European Society of Cardiology - Esc) e dalla Heart Failure Association (Hfa) of the Esc. Un impegno a tutto campo, per migliorare prevenzione e diagnosi. La campagna (attività e incontri in 24 città, visibile su www.iltuocuore.com), sostenuta da Novartis, ha come capofila nazionale l'Ausl di Piacenza, la prima istituzione ad aver promosso, lo scorso anno, questa iniziativa in Italia. «Le Giornate europee dello scompenso cardiaco sono una campagna paneuropea che ha l'obiettivo di aumentare la conoscenza di questa patologia, principale causa di ricovero dopo il parto e prima malattia per giornate di ricovero», afferma Massimo Piepoli, membro del Board di HFA e responsabile ambulatorio scompenso e cardiomiopatie, ospedale di Piacenza. «Siamo lieti che la campagna abbia avuto in Italia il patrocinio del ministero della Salute, perché lo scompenso ha pesanti ripercussioni in termini di qualità di vita, costi sociali e costi sanitari. La diagnosi tempestiva insieme al controllo dei fattori di rischio permettono di rallentare il decorso della patologia. I progressi compiuti negli ultimi anni ci permettono di intervenire con efficacia, migliorando la sopravvivenza.

Per il prossimo anno, aspettiamo l'arrivo di nuove terapie farmacologiche che ci auguriamo possano migliorare la prognosi del paziente». Si stima che tra i 60 e i 70 anni il 5% di questi anziani soffra di questa insidiosa patologia.

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