Coronavirus

Stinchi di santo

Nessuna voglia di mandare qualcuno sul rogo, né tantomeno di pronunciare sentenze quando le indagini sono solo agli inizi. Se così fosse non potremmo definirci garantisti

Stinchi di santo

Ascolta ora: "Stinchi di santo"

Stinchi di santo

00:00 / 00:00
100 %

Nessuna voglia di mandare qualcuno sul rogo, né tantomeno di pronunciare sentenze quando le indagini sono solo agli inizi. Se così fosse non potremmo definirci garantisti. Semmai l'arresto di Marcello Minenna, ex direttore dell'Agenzia delle dogane e già assessore della giunta Raggi al Comune di Roma, per l'ennesima truffa sulle mascherine all'epoca della pandemia, offre uno spunto di riflessione sulla fenomenologia del Movimento 5 Stelle, da cui Minenna è stato lanciato prima di approdare all'assessorato della Regione Calabria guidata dal centrodestra. Anche perché sono diversi i cosiddetti tecnici grillini finiti nei guai. Dal superconsulente della Raggi, Luca Lanzalone, al capo di gabinetto sempre dell'ex sindaco di Roma 5 Stelle, Raffaele Marra. Si potrebbe aggiungere pure il nome, visto che siamo in tema di mascherine, dell'ex commissario straordinario per il Covid, Domenico Arcuri, voluto in quel ruolo da Giuseppe Conte.

Il tema è semplice: non basta presentarsi come dei giacobini, atteggiarsi a giustizialisti tutti d'un pezzo, lanciare accuse, requisitorie e sospetti al grido di «ladri, ladri», ispirarsi a Travaglio e al Fatto per imporre rigore di comportamenti e tenere lontano il malaffare. Anzi, spesso chi ostenta la propria onestà a parole e slogan, predica bene e razzola male. Ci vuole ben altro. Ci vuole soprattutto una «competenza» che il populismo grillino rifugge, guarda con diffidenza e che, francamente, il Movimento dell'uno vale uno non ha nel Dna. Competenza per non essere presi per il naso dai «tecnici» e districarsi tra i «burocrati». Competenza per sapere chi promuovere e chi no.

Ci sarebbe da rileggere Benedetto Croce quando considerava «il governo degli onesti» (tipico lessico grillino) «utopia per imbecilli». E ancora: «L'onestà politica non è altro che la capacità politica: come l'onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza». Siamo agli antipodi dell'atteggiamento grillino che si ubriaca di moralismo ed è fedele al credo giustizialista per coprire la propria inadeguatezza. E ora che l'Elevato non impressiona più nessuno e il Movimento - al tramonto - si è affidato ad un avvocato d'affari, vengono i sudori freddi se si ritorna con la memoria agli anni in cui i 5 Stelle erano nella stanza dei bottoni: la stessa sensazione che si ha sulle montagne russe, il pericolo del baratro ad ogni curva.

Appunto, ora che la maggioranza del Paese è cosciente di cosa ha rischiato, c'è da sperare che non si faccia più ammaliare dal populismo giustizialista, che non dia retta alle sirene di chi recita quotidianamente requisitorie contro gli altri per coprire la propria incapacità. Di chi moltiplica organismi di controllo inutili, di chi ha immaginato un sistema giudiziario in cui i processi possono durare una vita, di chi lancia ombre su qualsiasi scelta abbeverandosi alla dottrina che tutto è marcio. È una filosofia che i grillini portano all'esasperazione, ma che attrae anche un certo tipo di sinistra, quella che parla di impunità per lanciare una crociata contro la riforma della giustizia di Nordio.

Il risultato? Decrescita infelice, un Paese fermo e un paradosso: gli ignoranti al potere fatti fessi da improbabili stinchi di santo.

Commenti