Tornano i responsabili

Tornano i responsabili

La prima crisi d'agosto della storia della Repubblica a conferma che quello gialloverde, per certi versi, è davvero stato il «governo del cambiamento» - rischia di non essere così lineare come qualcuno immaginava. Fatta posare la polvere delle prime ore, infatti, il braccio di ferro si è già spostato sui tempi e sull'eventualità che debba essere l'esecutivo di Giuseppe Conte a portare il Paese al voto.

Due percorsi che saranno entrambi accidentati per Matteo Salvini. Perché, dopo che il leader della Lega ha formalizzato la crisi, i suoi avversari faranno il possibile per frenare la sua corsa alle urne. In primis il M5s e poi il Pd. La capigruppo del Senato è convocata per lunedì alle 16. Ma con il Ferragosto e il week end di mezzo e i necessari tempi tecnici per richiamare i senatori «a domicilio» (a mezzo telegramma) difficilmente la mozione di sfiducia presentata ieri dalla Lega potrà essere discussa prima del 19-20 agosto. Un dibattito che potrebbe durare qualche giorno, soprattutto se i senatori grillini e dem decidessero di iscriversi tutti a parlare. Per quanto rapide possano essere le successive consultazioni, è improbabile che si possa votare prima del 27 ottobre.

In questo scenario, però, il rischio concreto e che preoccupa i piani alti del Quirinale è che il nuovo governo non riesca a giurare prima del 2-3 dicembre. E questo se tutto andasse liscio. Il che significa che esiste il rischio concreto di non approvare la legge di Bilancio e andare all'esercizio provvisorio. Anche questo, altro record del «governo del cambiamento», sarebbe un unicum della storia repubblicana. Non è un caso che uno dei piani B del Colle sia quello di un esecutivo di scopo che possa occuparsi della manovra e poi portare il Paese alle elezioni. Una soluzione che potrebbe essere favorita dai mercati: solo ieri, causa i venti di crisi, la Borsa ha bruciato 15 miliardi con lo spread che ha toccato quota 240.

Il fatto che la Lega ha però presentato la sfiducia a Conte avvicina anche un altro scenario: quello di un governo elettorale che porti il Paese alle urne. Con il voto della mozione in Senato, infatti, Salvini formalizzerà il suo dissenso dal presidente del Consiglio. E, a quel punto, bisognerà vedere se il Quirinale considererà il governo sfiduciato in grado di gestire gli affari correnti per i prossimi due mesi e fino al voto. Un esecutivo dove un vicepremier ha votato la sfiducia al premier e con un tasso di conflittualità politica che già in queste ore è altissimo. Certo, sul punto Sergio Mattarella «sentirà le parti», perché se è vero che Salvini potrebbe avere un vantaggio dal gestire le elezioni dal Viminale, lo stesso vale per Conte che siede a Palazzo Chigi. Sempre che il premier uscente abbia un ruolo nella prossima campagna elettorale, come lasciano intendere i rumors. Ma il rischio che l'esecutivo sia dilaniato (e paralizzato) dalla campagna elettorale dei prossimi mesi è concreto.

In questo quadro, resta sullo sfondo la tentazione di allontanare il più possibile la data del voto. Ce l'hanno il M5s e il Pd, quello che siede in Parlamento almeno. Sono per lo più renziani e Nicola Zingaretti è deciso a non ricandidarli. Non è un caso che si vociferi di contatti tra lo stesso Luigi Di Maio e Matteo Renzi, che in soli due mesi non avrebbe tempo per lanciare un suo movimento. Un governo cosiddetto di salvezza nazionale è al momento improbabile, ma se spuntasse fuori un elemento aggregante ci sarebbero centinaia di parlamentari pronti a saltarci su come un bimbo su un pony bianco.

Dai 323 parlamentari grillini (secondo i sondaggi, oltre la metà non sarà rieletto) ai due terzi dei 162 dem di fede renziana, passando per buona parte dei 166 deputati e senatori di Forza Italia e i circa 60 tra Leu, Autonomisti e gruppo Misto. Insomma, i cosiddetti «responsabili» (soprattutto della loro poltrona) ci sarebbero pure. Ma manca il fattore politico.

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