È paradossale, ma purtroppo vero: i centri sociali, i cui membri ci spaccano le vetrine e okkupano gli immobili di nostra proprietà, in nome della giustizia proletaria, li finanziamo noi come contribuenti e come elettori degli amministratori locali. E non con una sola specie di spesa pubblica, ma con tre: il 5 per mille alle associazioni, il fondo sociale regionale amministrato dai Comuni, che in molte Regioni è integrato con i denari del fondo sociale europeo di spettanza regionale, e con i contributi urbanizzativi secondari, destinati ad arricchire di contenuti positivi la vita delle città e delle borgate. A volte si tratta di veri e propri contributi, a volte del pagamento a carico del Comune delle bollette dell'elettricità, del gas, dell'acqua. I centri sociali ricevono un generoso sostegno pubblico mediante licenze di esercizio di locali di ritrovo, in luoghi particolarmente idonei, con autorizzazione allo spaccio di generi alimentari, bevande non-alcoliche e alcoliche, e all'installazione di macchinette per giochi e la concessione gratuita o semi gratuita di spazi pubblici.
In sé i centri sociali sono sedi di associazioni o fondazioni o movimenti di persone che partecipano ad attività ricreative, ludiche e sportive, culturali, politiche. Tra questi vi sono i centri sociali politici sorti negli anni '70, che hanno come compito la riappropriazione degli spazi urbani e, in particolare, l'occupazione degli immobili, in molti casi (ma non sempre) abusiva. Ci sono così i centri sociali politici di estrema sinistra e di estrema destra, ciascuno con le proprie specifiche sigle.
Non sempre i finanziamenti sul fondo regionale e sulla quota regionale del fondo sociale europeo, sui contributi urbanizzativi secondari e sul 5 per mille, arrivano direttamente a un dato centro sociale; a volte gli pervengono indirettamente da un'associazione amica.
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