Cuba in bancarotta spegne i condizionatori

La crisi economica sta colpendo duro anche sull'isola di Cuba. L'oasi socialista nel Mar dei Caraibi non è stata risparmiata dagli effetti del crollo delle odiate Borse capitaliste. Ma, come capita spesso in queste situazioni, il regime non alza le mani. Anzi, mostra i pugni e torna a far sentire il suono delle manette sui polsi dei dissidenti. Ennesima dimostrazione che la staffetta tra i fratelli Fidel e Raul Castro non ha snaturato un sistema capace di reggere a qualsiasi urto da 50 anni a questa parte.
Sulla celebre passeggiata del «malecon», il lungomare dell'Avana, si sente il caldo della crisi e di notte, nell'afa caraibica, tornano gli incubi del «periodo especial», gli anni dei sacrifici per far sopravvivere il socialismo al crollo dell'Urss. Nemmeno l'amico Chavez, anche lui in acque economiche agitate, e il suo greggio può sopperire alla penuria energetica che sta asfissiando Cuba. A mancare è soprattutto l'energia in un'isola che, in attesa di scoprire l'oro nero nei fondali del suo mare, vive di importazioni di petrolio. L'ultima novità, la misura più visibile della crisi, è quindi lo spegnimento dei condizionatori d'aria. Un razionamento con orari inflessibili: niente sollievo dalle 8 alle 13.
Attenzione alle tasche, ma anche a quanto avviene nelle menti dei cubani. La stretta di Fidel e Raul non si è fatta attendere. Uno sfoggio di forza per ricordare ai dissidenti che, anche se zoppicante, la «Revolucion» è ancora in piedi. Sull'isola è partita, secondo quanto riporta la Commissione cubana dei diritti umani e di riconciliazione nazionale, una raffica di arresti. Gli ultimi, due giorni fa. Mercoledì era il 15/o anniversario del «maleconazo», la manifestazione che raccolse migliaia di cubani all'Avana contro Fidel. Se quel 5 agosto '94 segnò «la vittoria di Fidel e del suo paese», capace di disperdere la folla «senza spari nè morti», come ha scritto Granma (ma in realtà si stimano tra i 500 e i mille i manifestanti messi in prigione), questa volta il copione è stato diverso. Sono stati 20 gli arresti durante le timide celebrazioni, spesso nelle case, di quel giorno di ribellione.
Intanto l'austerità è diventata indispensabile. Nel 2008, secondo dati ufficiali, il deficit commerciale è salito del 65%, fino ad arrivare a 11.400 milioni di dollari. Le ultime stime poi dicono che il 2009 non sarà migliore, con una crescita dell'1,7%. È un dato in forte calo rispetto alle previsioni che inizialmente erano del 6%. Oggi a Cuba c'è perciò un nuovo motto rivoluzionario: «Risparmio o morte». Versione aggiornata del «Patria o morte» di guevariana memoria. La politica del risparmio è visibile ovunque: negli uffici, nei negozi, nelle banche e negli hotel. Il ministro dell'Economia, Marino Murillo Jorge, imputa le difficoltà economiche «all'effetto combinato della crisi economica e finanziaria mondiale e ai danni provocati dagli uragani di fine 2008». Ai 10 miliardi di dollari di danni di Ike e Gustav si è aggiunto infatti il crollo del prezzo del nickel, principale prodotto di esportazione dell'isola, mentre i colloqui con l'amministrazione Obama sembrano ancora lontani dal dare risultati tangibili.
A confermare le voci di crisi è arrivato poi il rinvio del VI Congresso del Partito comunista cubano. Non un congresso qualunque, visto che lo si aspettava dal 1997 e arrivava dopo il mega-rimpasto di governo di qualche mese fa.

Inoltre, a renderlo ancora più atteso ci ha pensato Raul che ha sostenuto come «a causa della legge della vita, sarà probabilmente l'ultimo congresso guidato dalla direzione storica della Rivoluzione» L'annuncio è apparso sulle colonne di Granma insieme alle ulteriori misure economiche «difficili e per niente gradite, ma semplicemente non rinviabili» promesse da Raul. Un nuovo duro colpo dopo i già preannunciati tagli alle punte di diamante del castrismo: sanità ed educazione, oltre alle due ore quotidiane senza frigoriferi e ai forni elettrici spenti tra le 19 e le 21.

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